Carol J. Adams
Carne da macello

Carne da macello
Prezzo Fiera 14,40
Prezzo fiera 14,40 La politica sessuale della carne

Qual è il filo rosso, l’assurda interazione tra la radicata misoginia culturale della società contemporanea e la sua ossessione per la carne
e la mascolinità? Questo libro, pubblicato per la prima volta negli USA nel 1990, esplora con raro acume e sottile intelligenza la relazione tra i valori patriarcali e il consumo di carne, intrecciando femminismo, veganismo e antispecismo. Lo sfruttamento degli animali è per Adams una manifestazione della brutale cultura patriarcale. Il trattamento degli animali come oggetti è parallelo e associato all’oggettivazione nella società patriarcale di donne, neri e altre minoranze sfruttate. Dietro ogni pasto di carne c’è un’assenza: la morte dell’animale, il cui posto è occupato dalla carne. Il concetto del “referente assente”, intorno a cui Adams costruisce la sua memorabile tesi, ha la funzione di mascherare la violenza insita nel mangiare carne per proteggere la coscienza del carnivoro e i suoi desideri separando l’idea del singolo animale dal suo essere fisico. Nella logica della società patriarcale, anche le donne funzionano come referenti assenti. Perché il processo di oggettivazione, frammentazione e consumo che consente l’oppressione degli animali, privandoli del linguaggio e della rappresentazione culturale, coincide con quello agito sulle donne. L’uso persistente di immagini di violenza sessuale e di frammentazione e smembramento della natura e del corpo femminile (come in un macello) normalizza il consumo sessuale e autorizza l’abuso. L’oggetto consumato viene vissuto senza una storia, senza una biografia, senza individualità. Quindi lecitamente consumato e abusato.

Primo capitolo

Prefazione all’edizione italiana

In Italia, il dibattito sullo status morale degli animali non-umani è attivo da molti anni, e sono estremamente felice che un’edizione italiana di The Sexual Political of Meat possa ora contribuire alla discussione. Alcuni frammenti del mio libro sono in passato già apparsi in Italia: il secondo capitolo è stato tradotto per la prima volta nel 2010 e pubblicato in Liberazioni. Rivista di critica antispecista.1 Più di recente, un articolo in cui proseguo l’analisi di “Ursula Hamdress” (da me condotta all’interno del secondo capitolo) è stato pubblicato, sempre su Liberazioni, con il titolo “Perché un maiale?”.2 Uno dei miei primi scritti tradotti in italiano è apparso in Etica e Animali, nell’autunno del 1992: “Diritto all’aborto e diritti animali”.3 L’impegno dedicato a tradurre i miei lavori e questo libro dimostra che il dibattito sul trattamento degli animali non-umani e sul nostro atteggiamento nei loro confronti ha bisogno della prospettiva femminista. È importante, inoltre, che le riflessioni sull’oppressione degli animali non-umani siano introdotte nelle analisi femministe sul dominio. Il mio lavoro, situandosi nell’intersezione di queste due tematiche, mi ha portato a sviluppare una mia personale teoria critica vegan-femminista.
Ciò che sostengo è che, tramite la politica sessuale della carne, la nostra cultura perpetra una violenza discorsiva che sostiene la violenza materiale. La politica sessuale della carne ha, negli ultimi trent’anni, consentito alla cultura dominante di continuare a strutturare forme di disuguaglianza e violenza. Molti lettori e lettrici in tutto il mondo hanno contestato e contestano i messaggi delle immagini che rinforzano la politica sessuale della carne, sottoponendoli alla mia attenzione. Alcune immagini mi sono giunte dall’Italia, altre da vari Paesi europei. È triste pensare che, dal 1990 a oggi, le immagini che confermano la politica sessuale della carne siano aumentate così tanto nel mondo.
Dapprima il privilegio della politica sessuale della carne crea la prospettiva, in seguito il privilegio scompare e ciò che consente – il divertimento con il corpo altrui – è visto soltanto come scelta personale. L’ineguaglianza, già resa seducente, diviene anche succulenta. In Carne da macello suggerisco che «mangiare carne conferisce virilità al singolo consumatore supportando l’idea che gli uomini debbano mangiare carne e che le donne debbano servirla».4
Passano gli anni e la rivista Esquire pubblica (nel 2011) il libro di cucina Eat Like a Man [Mangia come un uomo], mentre a una ditta tedesca produttrice di carne viene proposto di utilizzare lo slogan “Tofu is gay meat” [Il tofu è la carne dei gay] – questo annuncio, creato da un’agenzia pubblicitaria, è stato respinto. Secondo tale genere di libri, articoli, menu e recensioni di ristoranti, pubblicità televisive e cartacee, gli uomini devono continuare a partecipare alla costruzione della virilità eteronormativa mediante il consumo di carne, e ciò dimostra che il mangiare carne e la mascolinità sono entrambi tanto incerti quanto imposti. Sebbene gli Stati Uniti offrano gli esempi più eclatanti di questa connessione, l’associazione tra mascolinità e consumo di carne si trova espressa in tutto il mondo.
Il mio libro contiene anche una riflessione sul funzionamento della «struttura di referenti sovrapposti, ma assenti, [che] connette tra loro la violenza contro le donne e gli animali». In riferimento agli animali da allevamento, la loro consumabilità ne determina il trattamento, la loro condizione post mortem consente che le loro vite vengano imprigionate in allevamenti industriali o nelle aziende agricole familiari. In anni più recenti ho coniato il termine “animali terminali” per indicare gli animali allevati e uccisi per diventare carne morta da consumare.5 Gli atteggiamenti connessi al senso di eccezionalità umana, al nostro diritto di fare ciò che vogliamo e alla nostra mancanza di rispetto giocano una parte centrale nel rifiuto sociale dell’idea che gli altri animali abbiano rilevanza, contribuendo al loro status quo: “Per quale altra ragione dovrebbero esistere?”.

Nel 2009, la Coalizione del Rhode Island contro la violenza domestica creò la campagna pubblicitaria “It’s not acceptable to treat a woman like one [piece of meat]” [Non è accettabile trattare una donna come un pezzo di carne]. Una delle immagini utilizzate per la promozione era un sacco da boxe, ma un’altra mostrava un pezzo di carne bovina appesa a un gancio, vestita con un top da donna e una minigonna di jeans. In altre parole, il fatto che sia ritenuto inaccettabile trattare le donne come un pezzo di carne rivela l’assunzione che sia accettabile trattare gli animali non-umani in questo modo. Diverse associazioni europee in favore dei diritti umani, tra cui Amnesty International, hanno dato vita a numerose pubblicità progresso contro la tratta degli esseri umani in cui si mostrano donne ricoperte di cellophane, impacchettate come la carne. Ancora una volta, il messaggio è “non devi trattare le donne come animali terminali, ma non hai bisogno di modificare il modo in cui tratti gli animali terminali”.
Nella cultura occidentale la “carne” agisce come un termine di massa che include le diverse specie animali.6 I termini di massa si riferiscono a cose come i colori o l’acqua: non importa quanta ne hai o in quale contenitore si trova, è sempre acqua. È possibile aggiungere un secchio d’acqua a una piscina senza cambiarla affatto. Gli oggetti a cui ci si riferisce usando termini di massa non hanno alcuna individualità, unicità, specificità o particolarità. Quando ci rivolgiamo a un animale parlando di “carne”, qualcuno che ha una sua propria vita, che è un essere unico, viene trasformato in qualcosa che non ha un carattere distintivo, nessuna unicità né individualità. Ciò che è sul tavolo di fronte a noi non è privo di specificità. È la carne morta di quello che un tempo era un essere vivente e senziente. Noi tramutiamo qualcuno, che è un essere unico, e quindi non il referente appropriato di un termine di massa, in qualcosa, cui è appropriato riferirsi con un termine di massa.
Nel 2013, in Australia, una pubblicità di “bum burger” che raffigurava i glutei di una donna come due fette di pane farcite con un hamburger è stata accusata di essere sessista.7 Il rapporto sul caso ha così riassunto il problema:

La pubblicità presenta una donna in bikini sdraiata su una spiaggia. La fotografia si focalizza sul suo fondoschiena, in cui è inserito un hamburger, compresi lattuga, pomodoro, formaggio e una polpettina, posti tra le chiappe. Il testo recita: “Buon divertimento hamburger” e “Il divertimento più fresco tra le natiche”. Uno dei reclami dichiarava: «Un hamburger e il suo contorno di lattuga ecc. sono inseriti nelle parti intime di una donna, il corpo della donna e le sue parti private sono oggettificate come qualcosa che le persone (probabilmente gli uomini) possono consumare».8

Carl’s Jr., una catena di hamburger americana, ha proposto una pubblicità simile, ma negli Stati Uniti non esiste alcun modo di contestarla. Contestare una pubblicità misogina, infatti, comporta solitamente la sua promozione.
Noi non riconosciamo come azioni diverse l’atto di vedere l’altro come un oggetto e l’atto di credere che un altro sia un oggetto, perché la nostra cultura li ha fatti confluire l’uno nell’altro. David Lubin sostiene che:

… guardare voyeuristicamente le donne è un modo attraverso cui gli uomini possono sperimentare, rivivere o fantasticare la propria virilità e tutta la potenza e il valore sociale che questa implica. Il voyeurismo, in ogni sua definizione, sottintende un distacco, un estraniamento, uno sguardo da lontano.9

In Colored Pictures, Michael Harris sottolinea che «le società articolano i propri valori e le gerarchie sociali visivamente in molti modi, tanto imponenti quanto sottili».10 Egli descrive tre aspetti ricorrenti riguardanti le donne nell’arte occidentale: l’evidenza delle strutture patriarcali, l’assunzione dell’universalità della prospettiva del maschio bianco e l’appropriazione dei corpi femminili.
“Ursula Hamdress” è probabilmente una delle immagini fondanti dell’antropornografia. Il termine “antropornografia” è un neologismo coniato da Amie Hamlin e introdotto nel 2003 in The Pornography of Meat per identificare la specifica sessualizzazione e femminilizzazione degli animali (soprattutto addomesticati) consumati come cibo.11 Gli animali in schiavitù, e in particolare gli animali da allevamento, vengono mostrati come “liberi”, liberi nel modo in cui le “belle” donne sono rappresentate come “libere”, cioè in pose che denotano la loro disponibilità sessuale, come se la loro unica aspirazione fosse che i loro corpi fossero desiderati. Poiché i maiali, prima di subire una morte violenta, sono prigionieri, l’ostilità del messaggio in riferimento alle donne è chiaro. Entrambi, donne e maiali, vogliono essere subordinati, consumati.

Con l’antropornografia, la disuguaglianza delle specie trasmette la disuguaglianza di genere. Quella che sembra essere una caratteristica della vita è in realtà un costrutto unilaterale. Il punto di vista di tutta la cultura, ribadito attraverso le pubblicità, le illustrazioni dei giornali, la fusione tra pornografia e cultura popolare, è in realtà solo un particolare punto di vista. L’antropornografia fornisce agli uomini l’occasione per coalizzarsi pubblicamente sulla misoginia. Gli uomini possono consumare pubblicamente ciò che di solito è riservato, il che rende apparentemente divertente e innocuo il degrado e il consumo di immagini di donne e di carne, come se fosse “solo uno scherzo”. Poiché le donne non sono in genere direttamente rappresentate, si ritiene non ci sia alcuna persona offesa, e quindi nessuno deve rendere conto di alcun danno. Tutti possono godere dell’umiliazione delle donne senza essere tuttavia mai disposti ad ammetterlo.
L’antropornografia è un incitamento all’odio: nella femminilizzazione e sessualizzazione degli animali morti, la violenza contro le donne e gli animali viene normalizzata. Il discorso animalizzante è un potente strumento di oppressione.12 L’animalizzazione è spesso utilizzata anche per analizzare le ragioni della violenza contro le donne: stupratori, maltrattanti e quanti commettono atti di violenza sono spesso animalizzati (vengono chiamati “bruti”, “animali” ecc.), quando in realtà si comportano proprio da esseri umani, dal momento che la loro violenza è volontaria e spesso pianificata. Per quanto riguarda l’animale umanizzato, esso rappresenta di frequente una sorta di eccezionalismo animale.

Le implicite categorie di genere hanno un ruolo attivo nel modo in cui rappresentiamo e trattiamo gli altri animali, così come gli atteggiamenti specisti influenzano il trattamento delle donne. Esse sono oppresse sia per le loro capacità riproduttive sia perché i loro corpi possono produrre carne: una volta espletate queste funzioni, sono anch’esse uccise. Inoltre, come sostengo in queste pagine, gli animali consumati come carne sono spesso rappresentati come femmine.13
Le catene di fast food come Burger King fanno a gara per trovare nuovi modi di rappresentare donne oggettificate mentre mangiano o desiderano un hamburger. Ecco un altro aspetto della politica sessuale della carne: l’assenza di potere del sesso femminile è visivamente inscritta in raffigurazioni di donne in posizioni non-dominanti, in cui grandi hamburger sono esposti sui loro corpi, si stagliano poderosi accanto a essi o vengono infilati nelle loro bocche. Gli hamburger dominano lo spazio visivo sopra e intorno alla donna, rivelano (e mettono in scena) le fantasie sulle grandi labbra delle donne e su quello che possono ingoiare.14 Le donne sono simbolicamente silenziate perché hanno la bocca piena di carne – primordiale e originario simbolo patriarcale di potere e violenza.
Carne da macello era stato pubblicato da pochi mesi, quando fui avvicinata da alcuni attivisti italiani interessati a tradurre il mio libro. Sono passati trent’anni, questa è la realtà. Vorrei ringraziare Matteo Andreozzi, che nel 2012 mi ha invitato a contribuire al volume Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive,15 iniziando a discutere seriamente con me in merito alla possibilità di realizzare un’edizione italiana di questo volume. Carne da macello consente di esaminare e di resistere a certi atteggiamenti (e alle rappresentazioni che li accompagnano) nei confronti delle donne e degli animali non-umani, proponendo una metodologia. È bello sapere che questo libro continuerà a offrire il proprio contributo a ulteriori conversazioni sul genere, le specie e le oppressioni intersecate.

Specifiche

  • Pagine: 360
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 129x198
  • Isbn: 9788868993603
  • Prezzo copertina: 18,00 €

Seguici

ContaTti

Telefono 351 886 28 90

Edizioni del Loggione srl
Sede legale: Via Piave, 60 - 41121 - Modena - Italy
P.Iva e C.F.: 03675550366
Iscrizione Camera Commercio di Modena REA MO-408292


© ItaliaBookFestival è un marchio registrato Edizioni del Loggione srl