BRUNO CAVALIERI
GINO BARTALI

GINO BARTALI
Prezzo Fiera 15,00
Prezzo fiera 15,00 Due volte campione, sui pedali e nella vita (vedi video presentazione)

Del grande campione toscano sono illustrate tutte le vittorie nelle gare nazionali e internazionali; inoltre il suo comportamento a favore degli ebrei perseguitati, di cui circa 800 riuscì a mettere in salvo. Meritò per questo la Medaglia d’Oro al Merito Civile della Repubblica Italiana e la menzione di Giusto tra le Nazioni nel Sacrario delle Vittime dell’Olocausto di Gerusalemme.

Primo capitolo

Campione e uomo dal cuore grande

La carriera del corridore ciclista e Grande, Grandissimo Campione GINO BARTALI, abbraccia un arco di tempo di ventitre anni e mezzo.

Inizia il 12 luglio del 1931 in una corsa per “aspiranti” che vince; vittoria però che non gli verrà assegnata, in quanto aveva superato l’età massima della categoria, e terminerà il 28 novembre 1954 ad oltre 40 anni.

Il suo ingresso tra i professionisti (1935) coincide col declino di Alfredo Binda e Costante Girardengo (nel 1936 correranno per l’ultimo anno) e l’inizio della fase discendente di un altro grande: Learco Guerra, mantovano denominato la “locomotiva umana”, che fu tra i maggiori rivali e antagonisti dei due fuoriclasse.

Nei primi sei anni di carriera (1935-1940) Bartali ha già un Albo d’Oro da “Campionissimo”: due Giri d’Italia (1936-1937), un Tour de France (1938), due Milano-Sanremo (1939 e 1940), tre Giri di Lombardia (1936-1939 e 1940), tre Campionati Italiani (1935-1937 e 1940) ed altre importanti corse.

Inoltre, non è azzardato ritenere che scelte di dirigenti ottusi e autoritari - come si avrà modo di constatare ripercorrendo la carriera di Bartali del triennio 1937- 1939 - gli abbiano precluso di poter vincere almeno un Tour de France, se non addirittura due (1937 e 1939) e un Giro d’Italia (1938).

Poteva essere Bartali il primo corridore a vincere nello stesso anno le due più importanti corse a tappe del mondo !

Non va poi trascurato che negli stessi anni (periodo pre-bellico), causa i difficili rapporti internazionali, raramente i corridori italiani avevano occasione di gareggiare all’estero. Bartali, ad esempio, in sei anni ha partecipato ad una decina di corse in tutto, e ciò ha limitato la possibilità di arricchire il suo già straordinario “palmares”.

Poi la guerra, dichiarata nel 1940 dal dittatore Mussolini, all’indomani della conclusione del Giro d’Italia.

Con lo scoppio del conflitto che investe con l’Italia tutta Europa, anche Bartali viene richiamato sotto le armi.

Il Suo cuore bradicardico (massimo 35 pulsazioni) gli evita il fronte, viene assegnato al 60° Fanteria come telefonista e portaordini, ovviamente in bicicletta; con il 25 luglio del 1943 passerà alla milizia stradale in servizio a Firenze e l’8 settembre, dello stesso anno, otterrà il congedo.

La guerra con i suoi lutti, le famiglie spezzate, le sue rovine, colpisce anche l’attività sportiva, che prima si riduce (1941-1943) e poi viene sospesa del tutto (1944); riprenderà nella seconda metà del 1945 a Italia liberata.

«La guerra - dirà a ragione Bartali - mi ha rubato la parte più bella della carriera: dai 25 ai 30 anni».

Bartali, negli anni del dopo guerra, rinnoverà le splendide imprese che avevano segnato la prima parte della Sua carriera, anni che saranno caratterizzati anche dal dualismo con un suo ex compagno di squadra, conosciuto prima della guerra e che nel 1940 aveva vinto il Giro d’Italia: Fausto Coppi.

La rivalità Coppi-Bartali, Bartali-Coppi divide in due il paese in bartaliani e coppiani.

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Bartali non è stato solo uno dei più grandi campioni dello sport della bicicletta, uno dei più grandi scalatori di tutti i tempi, è stato, nello sport come nella vita, un esempio di coerenza, di lealtà, dando prove di «grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà».

Di famiglia modesta, con il padre di fede socialista, ha sempre avversato il fascismo e tutte le dittature. Anche negli anni nei quali il potere di Mussolini era diventato assoluto e incontrollato, non ha mai preso la tessera del “fascio”, nonostante avesse ricevuto diverse sollecitazioni e pressioni; una tessera obbligata a quei tempi per molti comuni cittadini, quale condizione per avere o mantenere un lavoro, o anche per evitare di subire violenze fisiche. Lui è sempre stato membro dell’Azione Cattolica (per la Sua fede che ha sempre professato con coerenza per tutta la vita - era, dal 1937, terziario carmelitano - verrà soprannominato “Gino il pio”). Negli anni della guerra le corse sono poche (dalla seconda metà del 1943 e per tutto il 1944 nemmeno una), ma Bartali continua ad allenarsi costantemente anche se non ci sono competizioni a cui partecipare.

Quelle lunghe pedalate solitarie da Firenze a Genova, facendo tappa a Lucca alla Certosa di Farneta6, poi da Firenze ad Assisi e a Città del Vaticano a Roma, Bartali le ha trasformate in una competizione speciale, segreta, di alto valore civile: salvare la vita di centinaia di persone perseguitate dal nazifascismo.

Azioni di grande coraggio, che Bartali per lungo tempo ha cercato di tenere pressoché nascoste, perché diceva: «Le buone azioni si fanno e basta. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come eroe di guerra. Gli eroi sono altri. Quelli che sono morti, quelli che hanno patito nelle membra, nelle menti, negli affetti. Quelli che hanno trascorso tanti mesi in prigione. Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta».

Va dato merito alla moglie signora Adriana e ai figli, se da qualche anno si è dipanata la nebbia che avvolgeva questi aspetti della vita del Grande Campione, che ingigantiscono ancor di più la Sua splendida figura umana.

Bartali collaborava con un’organizzazione clandestina coordinata dal vescovo di Firenze, Cardinale Elia Dalla Costa7 (in aperta opposizione al fascismo) e dal rabbino della città, Nathan Cassuto (che morirà in campo di concentramento), assumendosi una “missione” molto pericolosa, per la quale rischiava la vita, sua e dei suoi cari: trasportare, nascoste nel telaio - precisamente nel canotto porta sella - e nel manubrio della sua bicicletta, foto tessera e carte di identità destinate a tipografie clandestine che sostituivano le generalità di origine ebraica con nomi e cognomi italiani. Carte d’identità, che una volta falsificate, lui ritirava e portava nei diversi conventi, monasteri e altri luoghi, dove avevano trovato temporaneo rifugio cittadini ebrei, che così venivano dotati di documenti indispensabili per nascondere la loro vera identità, senza i quali non sarebbero scampati ai rastrellamenti e – causa le leggi razziali - alla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Tragica sorte che travolse, nei diversi paesi europei, milioni di persone - uomini, donne e bambini - vittime innocenti del più mostruoso genocidio perpetrato nei confronti dell’umanità.

6 - La Certosa di Farneta, era uno dei conventi ai quali Bartali

Specifiche

  • Pagine: 162
  • Formato: cm 21 x 30
  • Isbn: 978-88-7549-683-8
  • Prezzo copertina: 15,00

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