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Edizioni Il Fiorino

Silvia Vaccari
IL CONTE

IL CONTE
Prezzo Fiera 12,90
Prezzo fiera 12,90 (vedi video trailer)

Manuel ha 24 anni. E’ un ragazzo pigro, senza grandi interessi o ambizioni, fiero di vedere davanti a sé quello che ama definire il suo nulla cosmico. Cresce felice nel suo borgo di montagna, assaporando appieno le tante opportunità che la vita non manca di offrirgli. Questo grazie ad una dote che, suo malgrado, gli è piovuta addosso: la sua straordinaria bellezza. L’essere un Adone di paese lo porta a sentirsi conteso dalle ragazze, fa di lui un personaggio invidiato dagli altri, lo rende sicuro di sé, gli apre le porte verso facili e inaspettati successi. E come ogni bellissimo del nostro secolo, anche lui non può sottrarsi al richiamo del mondo dello spettacolo. Si trasferisce a far fortuna in città, a Bologna, e cerca come tanti la strada del successo. Approda nel mondo della moda e delle discoteche, finché qualcosa non ostacolerà la sua rapida ascesa nel mondo dello spettacolo e cambierà radicalmente la sua vita.

Primo capitolo

IL MACELLAIO BALLERINO

 

 

Settembre 2004

Manuel chiuse a chiave l’armadietto ed infilò il camice sporco nello zaino.

Si girò verso lo specchio e scrutò perplesso il solco sotto gli occhi. Durante la notte non aveva dormito quasi nulla e la stanchezza ora gli stava crollando addosso. Dopo la discoteca era passato da casa giusto per una doccia e per un pisolino di un’ora, poi si era dovuto alzare per il turno del mattino al supermercato.

Con la coda dell’occhio scorse le sue scarpe antinfortunistica, abbandonate in un angolo dello spogliatoio. Imprecò ad alta voce e si chinò a raccoglierle. Aveva dimenticato di riporle. Riaprì l’armadietto, con un gesto rapido le buttò dentro e richiuse lo sportello al volo per evitare che tutto il resto, accatastato alla rinfusa, scivolasse fuori.

Si accasciò su una sedia.

Disordinato. Tu sei disordinato dentro, gli ripeteva spesso sua madre.

Chiuse gli occhi. «Non è capace neanche di rifarsi il letto e ora vuole andare a vivere da solo a Bologna» aveva detto suo padre. Li aveva sentiti litigare, lui e sua madre. «Io alla sua età, a ventiquattro anni, avevo già messo su famiglia» aveva rimarcato lui. «E ora tuo figlio cosa vuol fare? Gli hanno montato la testa, le cattive compagnie gli hanno montato la testa.»

Manuel si massaggiò il collo e sorrise. Tutta colpa delle cattive compagnie, sommo alibi e capro espiatorio dei genitori. Sospirò. Sei tu che cerchi il lupo cattivo, non è mai lui che cerca te.

Le tempie gli pulsavano, la testa pareva scoppiare. Tutti erano preoccupati per il suo futuro. Tutti si prodigavano a dispensare consigli, persino sua sorella, di tre anni più giovane di lui.

«Se hai una passione, un sogno, inseguili con tutto te stesso.»

La fronte bruciava. Ma che sogno, che passione? Manuel non aveva nessuna voglia di pensare al suo futuro, a meno che non fosse da lì a qualche giorno.

Sentiva davanti a sé un vuoto confortante, un quadro senza pennellate indelebili, una lavagna da riempire e cancellare come capitava. Un giorno si svegliava con la voglia di iscriversi all’università, il giorno dopo voleva andare a fare il modello a Milano, o magari fare un corso di doppiaggio di cartoni animati.

Sua madre l’aveva difeso: «In fondo si è trovato un lavoro, vuole mantenersi da solo.»

«Sì, ma quanto durerà», aveva replicato suo padre, «a fare il macellaio in un supermercato alle sei del mattino?»

E invece era ancora lì. Annoiato, assonnato, ma era ancora lì.

Manuel si accomodò meglio sulla sedia di plastica ed appoggiò la testa contro il muro.

Il dolce oblio del nulla cosmico. Il poeta, ecco cosa avrebbe fatto. Il poeta, bello e anche un po’ maledetto. Come quelli che aveva studiato a scuola, dai nomi impronunciabili. Uno di questi raccontava di un battello speciale, un battello ubriaco che viveva le emozioni più strane lasciandosi trasportare alla deriva, in balia del caso. In fondo un po’ anche lui, come il battello ebbro, si sentiva incapace di adattarsi a trasportare cotone come tutti gli altri.

Una voce tonante lo fece trasalire.

«Mo cosa fai, dormi?»

Scattò in piedi. Era il caporeparto, che ultimava il proprio turno di lavoro.

«No, mi stavo allacciando la scarpa.»

Raccolse lo zaino e si trascinò verso l’uscita, senza salutare.

Fuori, l’auto rimasta al sole per qualche ora sembrava una fornace. Noncurante, Manuel avviò il motore e partì.

D’improvviso, la suoneria del cellulare con l’ultimo successo dei Subsonica si diffuse nell’abitacolo. Si accomodò il telefono tra l’orecchio e la spalla e rispose.

«Ehi, Marco. Ciao. Allora?»

«E’ andata alla grande, Manu. Sei stato bravo.»

Manuel appoggiò la testa indietro e trasse un sospiro di sollievo. Quella del giorno prima era stata una delle sue prime serate in discoteca come professionista. Ci teneva a far bella figura. Il cellulare gli scivolò tra le gambe e si affrettò a recuperarlo.

«Sei sicuro?» riprese. «Bonora non mi ha nemmeno rivolto la parola quando sono passato a prendere i soldi.»

Erano quasi le tre di notte quando si era messo in fila con gli altri ragazzi davanti all’ufficio del gestore della discoteca. In quel momento si era sentito come il pugile di qualche film americano che aspetta di essere pagato dal boss sulla base dei colpi assestati e ricevuti. Arrivato il suo turno, l’uomo non lo aveva fatto neppure accomodare. Gli aveva allungato una busta con due dita e l’aveva salutato con una smorfia che forse aveva l’ambizione di essere un sorriso.

«Non farci caso, è un tipo di poche parole» commentò Marco. «L’importante è che continui a farci lavorare. Mi ha richiamato oggi e mi ha detto che ci rivuole anche sabato, forse addirittura venerdì. Mi saprà dire.»

«Io venerdì sera non ce la faccio. Lavoro tutto il sabato. Se voglio essere in piedi per la sera bisogna che dorma un po’.»

Sentì Marco sbuffare.

«Devi mollarlo quello stupido lavoro. Se vuoi fare strada nel mondo dello spettacolo non puoi passare la giornata a caricare scatolette sui banchi.»

Al suo arrivo a Bologna, Manuel aveva iniziato al supermercato come addetto jolly. Da qualche settimana gli avevano assegnato un posto fisso in macelleria, dove non voleva stare nessuno. D’altronde era l’ultimo arrivato. Il suo diploma di elettrotecnico tra i macinati gli serviva ben poco, ma da qualche parte doveva pur cominciare.

«Ora mi hanno passato al reparto macelleria. E dato che maneggio dei coltelli sarà il caso che sia ben sveglio. E poi questo stupido lavoro, come dici tu, adesso mi serve per viverci. Almeno per ora. Con le serate ci pago sì e no i vestiti. Non sono come te che fai finta di studiare una pagina al giorno.»

«Fai come ti pare» ribatté con tono asciutto Marco. «Ah, Manu. Un’altra cosa.»

«Cosa?»

«Bonora ha detto che sei secco.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«In che senso?»

«Ha detto che hai un bel viso, che ti muovi bene, ma sei secco come un chiodo.»

«Che vuole, la pancia?» sbottò.

«Sei flaccido, non hai muscoli. Pettorali da ridere, deltoidi inesistenti.»

Sapeva che prima o poi glielo avrebbe detto. Il suo viso d’angelo, su quel corpo esile, poco si addiceva ai modelli imposti dalle luci psichedeliche e dal cubo. Fisici lucidi, statuari, con muscoli gonfi, scolpiti.

Bonora non gli piaceva. Gestiva i pierre, ingaggiava le ragazze ed i ragazzi da far ballare in alto, sulle torri del suo locale. Guardava tutti dall’alto al basso, con un’occhiata pesava e prendeva le misure. Siamo carne da macello, si era detto Manuel, niente di tanto diverso dalle bistecche che aveva imparato ad affettare.

Nemmeno Marco gli piaceva. Lo conosceva da poco. Più che un amico lo considerava un mezzo collega, un contatto. Per entrare in quel mondo aveva bisogno di loro. Qualche compromesso, almeno per il momento, era indispensabile.

«Che devo fare, devo venire anch’io in palestra?»

«Sarebbe un buon inizio.»

«L’idea di sollevare dei pesi mi fa vomitare. Ero contento di essermi schivato le casse di acqua minerale al negozio…»

«Senti, io non sono la tua balia. Se vuoi che lavoriamo insieme non devi fare tanto il difficile. Sei a Bologna da due mesi e ti ho già fatto fare una decina di serate.»

«Veramente sono cinque mesi. Comunque va bene, verrò in palestra. O al limite mi metterò a scaricare le mezzene dai camion.»

«Scaricare cosa?»

«Lascia perdere. Allora ok per sabato, fammi sapere se ci sono novità.»

«Va be’, ciao.»

Manuel mise la freccia e cominciò a tenere d’occhio il bordo della strada. La mancanza di parcheggi era ciò che odiava di più di Bologna. Salì con due ruote sul bordo di un marciapiede all’angolo di un cancello, scaricò lo zaino e s’incamminò verso casa.

A pochi passi dal portone erano ferme diverse persone che parlavano a bassa voce.

Salutò con un cenno del capo ed entrò.

Il portone era stranamente già aperto. Probabilmente stavano aspettando che scendesse qualcuno.

La suoneria di Goldrake echeggiò per qualche attimo nell’atrio.

«Ciao Fili, sono la mamma.»

La scena che gli si presentò davanti lo fece restare senza parole.

«Ciao ma’. Scusa un attimo.»

Una bara, sostenuta agli angoli da quattro persone, stava scendendo verso di lui. Si appiattì contro la parete per lasciarli passare, ma lo spazio era troppo stretto. Vide l’estremità della bara a pochi centimetri dal suo naso e si affrettò a scendere le scale per far posto al piccolo, inconsueto, corteo. Dietro la bara, il vicino di casa che aveva incrociato un paio di volte sul pianerottolo, seguito da altre persone che non aveva mai visto.

«Buongiorno» gli fece, pentendosi subito dell’espressione infelice. «Condoglianze» ripiegò.

La bara passò e uscì dal portone. La gente fuori si accodò in silenzio al corteo.

Manuel si accorse di stringere ancora il cellulare dietro la schiena.

«Ma’, sono qui.»

«Fili, dov’eri finito?»

«Mi stava passando davanti un morto.»

«Un morto? Cosa stai dicendo?»

«Stavo salendo le scale di casa, mentre stavano portando giù la bara di qualcuno che abita qui.»

«Oh, Gesù. E chi è morto?»

Manuel aprì la porta del proprio appartamento e la richiuse dietro di sé con un calcio.

«Penso sia la moglie del vecchio che abita al mio piano. Li ho sempre visti insieme. Stavolta c’era solo lui e… secondo me lei era dentro la bara.»

«Che cosa terribile. La conoscevi?»

«No. Qui non conosco praticamente nessuno, lo sai. E va bene così. Non mi va che si impiccino degli affari miei.»

«Come stai? Sei stanco? E mangi?»

Manuel sbadigliò.

«Sono stanco, ma’. E non ho più voglia di parlare.»

Sentì un attimo di silenzio dall’altra parte.

«Ti ho chiamato solo per sapere se vieni su domenica» riprese lei.

«Non lo so. Non aspettatemi a pranzo. Te l’ho detto che il sabato sera lavoro. Al mattino voglio dormire.»

Da più di due settimane non tornava a casa in montagna a trovare i suoi.

Sentì un gran sospiro.

«Davvero fai il ballerino, Fili?» sussurrò lei.

«Più o meno.»

Manuel percepì un senso di esitazione all’altro capo del filo.

Con sua madre andava d’accordo. Trovava che lei fosse dotata di un dono impagabile: sapeva stare zitta. O meglio, sapeva soffrire in silenzio, senza disturbare troppo. Quando non riusciva più a resistere, si trincerava dietro a domande sciocche che celavano dietro mille ansie, mille raccomandazioni.

Sapeva che la domanda successiva sarebbe stata «Balli vestito?» oppure «Stai fuori tutta la notte?»

E invece la domanda inutile non arrivò.

«Ti aspettiamo domenica quando ti pare» concluse invece lei.

Manuel sorrise. Chissà quanto le era costato non chiedergli altro.

Spense il cellulare e si lasciò cadere sul divano. Non le aveva nemmeno chiesto niente di suo padre. Non lo sentiva da un sacco di giorni. Con lui i rapporti erano molto più duri. Ma non aveva voglia di pensarci.

Si tolse le scarpe con la punta dei piedi e accese la TV.

Il caso delle due volontarie italiane sequestrate a Baghdad riempiva l’ennesimo notiziario. Fece per cambiare canale, ma il telecomando gli scivolò dalle mani e cadde a terra. Imprecando, si trascinò a carponi sul pavimento per recuperare le pile, rotolate sotto i mobili. Arrivò con il volto a un palmo dallo schermo e si ritrovò a fissare incuriosito il volto delle due ragazze rapite. Non si era mai chiesto che aspetto dovesse avere una missionaria. Probabilmente dava per scontato che fosse una suora, con qualche tratto in comune con quelle dell’asilo del paese. Le due italiane dovevano avere poco più della sua età, sembravano ragazze qualsiasi, che ci facevano lì? Sbadigliò. Recuperò le pile e ricompose il telecomando. Si sdraiò di nuovo sul divano e chiuse gli occhi. L’immagine di se stesso “missionario”, tra il fango e la polvere, per un attimo gli attraversò la mente. Troppi insetti, si disse spalancando gli occhi con una smorfia.

Girò la testa dietro di sé e scorse un residuo di birra della sera prima. Avvicinò il bicchiere alle labbra e si immerse nello zapping.

Specifiche

  • Pagine: 184
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: cm 14 x 22
  • Isbn: 978-88-7549-853-5
  • Prezzo copertina: 12,90

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