Claudia Fusani
Il tuo nome sarà Irene

Il tuo nome sarà Irene
Prezzo Fiera 16,00
Prezzo fiera 16,00 Il romanzo della vita di Irene Brin

Irene Brin, (1911-1969) come giornalista adottò vari pseudonimi: Marlene, Oriane, Mariù, Maria Del Corso, Geraldina Tron, Clara Radjanny von Schewitch e, soprattutto, Contessa Clara e Irene Brin.

Con la sua scrittura brillante e inconfondibile rivoluzionò il linguaggio paludato e depressivo delle testate italiane dell’epoca, prima interprete del cosiddetto “giornalismo di costume”. Ruolo che le rimase sempre stretto. P

er fare l’inviata di guerra e Esteri dovette assumere vari pseudonimi dribblando la censura del fascismo. Dopo un paio di generazioni, la sua lezione aprì la strada al lavori di Lietta Tornabuoni, Camilla Cederna, Natalia Aspesi e Oriana Fallaci.

Con il marito Gaspero Del Corso fece della galleria L’Obelisco a Roma il luogo dei debutti dei più rivoluzionari artisti a cavallo degli anni 40 e 50, da Vespignani a Burri, da Calder a Rauschenberg. Maestra di stile e di bon ton, aprì la strada alla moda italiana nel mondo.

Primo capitolo

È una sera di gennaio del 1952. Irene Brin è a cena al Passetto, dietro Piazza Navona, con alcuni amici tra cui Indro Montanelli, che la chiama «Mariù» come facevano solo la mamma, la sorella e il papà generale. C’è anche Gaspero Del Corso, marito di Irene. Il racconto di quella serata finisce, pochi mesi dopo, tra i ritratti di uno dei libri più belli dell’allora inviato del Corriere della Sera. Poche righe che tratteggiano con precisione lo straordinario camaleontismo della giornalista e scrittrice più popolare nei decenni a metà del secolo scorso e, purtuttavia, poi rapidamente dimenticata.

Quando usciamo dalla trattoria, io rimango un po’ indietro, solo con Mariù, che ha la marcia ritardata dalla paura dei gradini da discendere e dei marciapiedi da salire. E di colpo riacquisto con lei il tono di affettuoso cameratismo che già mi legò alla ragazza timidissima, che calava da Genova con sua madre e sua sorella, e aveva paura a girar per le strade della capitale. «Come mi trovi?» essa mi chiede ad un tratto, e io rimango un momento interdetto, abituato come sono alla civetteria coperta d’Irene, ma non a quella scoperta. «Benissimo» rispondo con assoluta sincerità. «Una rosa che sboccia!». Mariù scote la testa, a quella banalità, sorride, mi stringe il braccio. «La galanteria non è il tuo forte, Indro caro, e io non volevo dir questo. Volevo sapere se il mio viso, finalmente, non ti pare che abbia raggiunto una espressione definitiva…». E, attraverso l’occhialetto, mi scruta con ansia. «Cara Mariù, il tuo volto ha sempre avuto un’espressione definitiva. Solo, cambiano le definizioni».

«Ho deciso», essa dice a un tratto con fermezza, «di non andare a nessun ballo mascherato, il prossimo carnevale!». E d’improvviso ricordo che quella di mascherarsi è sempre stata, fin da piccola, la gran passione di Mariù, felice di mettersi nei panni di Giovanna d’Arco ieri, di Caterina de’ Medici oggi, di Madame Récamier domani. «Credo veramente», dice con una voce in cui trema la speranza, «che stavolta sto per diventare me stessa e per fare qualcosa di buono, che somigli veramente a me e non a uno o all’altro dei miei pseudonimi…». «Bene!» faccio senza troppa convinzione e senza, in fondo, molto capire, solo un po’ scosso da quel suo patetico anelito di affrancamento dai vari personaggi in cui si è, scrivendo, incarnata, compreso quello di Irene Brin che le ha dato una popolarità mai raggiunta da nessuna scrittrice in Italia e che tuttavia sembra lasciarla, l’ingrata, scontenta e insoddisfatta di sé.

Due giorni dopo ricevo la telefonata di un comune amico che ha appena incontrato Mariù in via Margutta. «Stava benissimo», gracchia dentro l’apparecchio, «piuttosto ingrassata…». «Io l’ho trovata magrissima», interrompo, ma l’altro non mi sente. «Piuttosto, non mi ero mai accorto che fosse così bruna…». «Quarantott’ore fa era bionda», smentisco. «Macché bionda!… È nera come la notte, come la coscienza di un peccatore… Usciva da una misteriosa bottega, dove aveva commissionato non so quali e quante maschere per il prossimo carnevale… Dio sa cosa ha inventato, quella dannata, in quale straordinario personaggio sta per incarnarsi… Mi ha detto che ha coniato e sta per lanciare un nuovo pseudonimo, bellissimo, maschile stavolta, con cui inaugurerà un’altra rubrica, non so in che giornale o settimanale…».

E con lo pseudonimo Mariù avrà inventato un nuovo modo di vedere (con l’occhialetto) le cose e di descriverle. Poi uno o una la copierà; poi la copieranno in cinque, in dieci, in venti. E allora essa, stufa anche di questa nuova formula, ne inventerà un’altra ancora (con relativo nome, e abiti, e faccia) lasciando invecchiare imitatori e imitatrici nei suoi abiti smessi e presentandosi al pubblico, moderna incorruttibile Ebe, in una rinnovata verginità.

Indro Montanelli descrive il tratto più affascinante di Irene Brin meglio di chiunque altro – pochi, in realtà, tra giornalisti, critici letterari, appassionati d’arte – abbia mai parlato di lei: la costante e perenne ricerca di sé nello scrivere, nel modo di essere, anche solo nel vestire. Una ricerca che Irene comincia giovanissima, che diventa sempre più lacerante, che non si placa perché non arriva all’obiettivo: cogliere l’anima.

Specifiche

  • Pagine: 386
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: 13 x 21
  • Isbn: 978889932327
  • Prezzo copertina: 18,00

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