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Damster edizioni

Marco Radi
LA PICCOLA EMILIA

LA PICCOLA EMILIA
Prezzo Fiera 12,00
Prezzo fiera 12,00

Due irriducibili pensionati, un saldatore comunista e un tipografo democristiano, con la complicità di un altro vecchietto assai poco riservato e di un giovinastro elvetico incline al panteismo, mettono a segno un furto strampalato, facendo sparire un fucile mitragliatore giocattolo dal museo di Peppone e Don Camillo, in quel di Brescello. 
Il giorno seguente il disastroso colpo, il sindaco di Arzanello Trebbia viene freddato a colpi di mitra. 
Qual è il collegamento? 
Possibile che quei quattro deficienti abbiano un ruolo nella morte del loro primo cittadino?

Primo capitolo

I

 

— Stupido!
— A chi?!
— Lo sai che non sono strabico… per cui, se dico stupido e ti guardo… secondo te, a chi mi riferisco?
— Sì, sì… ridi, ridi. Vecchio pazzo! Se non ci fossi io a darti retta, non ti si filerebbe nessuno. E lo sai!
— Stai dicendo che non mi rispettano, per caso?
— Non intendo dire questo… dico soltanto che lo sanno tutti che sei un pallone gonfiato.
— Ah, sì? Pensi questo? Lo sai che se voglio faccio sul serio! Non ho paura di niente! E, tanto per cominciare, non ho bisogno di te!
— Lo ripeto, tu sei pazzo. Sei un pazzo furioso. Non ce la farai mai. Perché, per portare a termine con successo quello che hai intenzione di fare, ti manca una cosa fondamentale… il cervello!
— Ho il coraggio… e le palle! E quelle bastano e avanzano!
— Ti sbagli, fratello. Hai bisogno di un piano. E, per elaborare un piano come si deve, ti occorre una mano. Perciò… tu sarai il braccio e io la mente…

Questo strampalato e, per certi versi, surreale dialogo si era svolto tra Lillo e Pepito, rispettivamente noti all’anagrafe con i nomi di battesimo di Camillo e Giuseppe. Entrambi pensionati, erano stati concepiti in momenti assai difficili ed erano nati, con un anno di differenza, in tempo di guerra. Si detestavano fin da bambini, fanciulli troppo presto orfani, con impegno e familiare disinvoltura, ma in fondo in fondo si volevano bene. Questo inconfessabile affetto derivava dal fatto di aver avuto la stessa madre. Ma non lo stesso padre. Giuseppe era figlio di un robusto contadino, nome di battaglia Orso, che per non tradire i compagni delle Brigate d’Assalto Garibaldi si era lanciato da una finestra del secondo piano di un sinistro edificio di Carpanello, nel tentativo di sfuggire all’interrogatorio dei suoi aguzzini neri. Camillo era figlio del prete, nome di battaglia Don Mitraglia, fiero militante del Partito d’Azione, combattente e cappellano nelle file delle Brigate Giustizia e Libertà. La storia aveva segnato la vita di Lillo e Pepito, imbevendo il loro cervello di ideologie e suggestioni perlopiù romantiche. Il figlio del contadino era diventato un onesto e sanguigno saldatore, mentre il figlio del prete, che sognava di fare da grande il giornalista, si era accontentato di essere un bravo tipografo, presso un quotidiano locale.
I nostri eroi hanno sempre vissuto e abitano tuttora ad Arzanello Trebbia, un minuscolo paesino abbarbicato alla costa dell’omonima valle piacentina. I maligni, soprattutto lombardi, in particolar modo cremonesi, attaccano al nome del villaggio la diciottesima lettera dell’alfabeto. E chiamano in un modo assai scurrile gli abitanti della ridente villa. Motivo per cui, a molti cercatori di funghi e di castagne provenienti dall’oltre Po è capitato talvolta di trovare le gomme delle auto, parcheggiate al limitar del bosco, tagliate di fresco. Ma questo accadeva soprattutto durante gli anni Sessanta e Settanta. Altri tempi, altre mentalità. 
Ad Arzanello non manca nulla. C’è una microscopica piazzetta che ospita l’antica chiesa e la casa signorile che funge da municipio. Si può visitare ogni giorno l’edicola, la farmacia, la tabaccheria, la cooperativa… e basta.
Recentemente, ad Arzanello Trebbia, sono stati soppressi due storici punti di incontro e aggregazione sociale: il circolo letterario intitolato a Don Pierino Mitraglia, ucciso dai tedeschi mentre copriva la ritirata dei fazzoletti verdi, e il circolo culturale Maksim Gor’kij, dedicato al controverso scrittore sovietico, per ricordare un commovente episodio del dopoguerra. Terminate le ostilità, dopo qualche tempo, un giovanotto aveva bussato alla porta della famiglia di Orso. Per restituire un libro sciupato, sgualcito, vissuto, un romanzo trovato nella giacca di un disperato che, dalla finestra della caserma dov’era rinchiuso, continuava a guardare le colline. Un romanzo dedicato a una madre. Restituito alla mamma di un partigiano che si era sfracellato pur di non parlare, pur di non nutrire e diffondere altro dolore. Il repubblichino che aveva bevuto le pagine del libro come l’antidoto all’assurdità che lo circondava aveva poi disertato. E ora, finita la guerra, se ne stava in ginocchio, al cospetto di una madre, di una famiglia, attendendo il verdetto della vendetta o del perdono. A decidere non fu la religione, un comitato, la politica di questo o quel partito. A decidere fu soltanto una madre.
Arzanello Trebbia rischiava di perdere tutto. In gioco c’erano la storia, la memoria, l’orgoglio, certamente eterogeneo, di un’intera comunità. Tuttavia Luigi Vinello, il nuovo sindaco leghista, eletto a furor di popolo, forte di un vero e proprio plebiscito, era stato categorico. Quelle due specie di osterie colte, ubicate agli antipodi del villaggio, costano troppo! E chi paga? Devono sparire. Nessuno aveva avuto il coraggio di controbattere e confutare l’analisi dell’ex capocannoniere della Bobbiese, diventato primo cittadino in alta valle. Solo Lillo e Pepito, guarda caso entrambi presidenti dei circoli in questione, si erano sollevati contro la delibera. 
Un giorno Gigi Vinello, dopo aver messo i sigilli ai centri sociali, aveva convocato i due ribelli. 
— I culi di legno e i mangia bambini sono estinti! Basta con queste cazzate ideal-popolari o come caspita dite voi! È finita. A ogni modo, giusto per non sbattervi in mezzo a una strada… io ho la soluzione. — Ti pareva. — Ho a disposizione un immobile appena ristrutturato, non fate finta di ignorare quale, gli impianti adesso sono a norma, il locale è pulito, confortevole, spazioso, un vero centro ricreativo. Altro che le vostre topaie! E stavolta ospiterà anche i giovani. Carne fresca, nuova linfa, facce da prosecco, che fanno puntuali il loro aperitivo e che poi si levano dai coglioni! Non solo i v… gli anziani! Personaggi simpatici ma obsoleti, che ordinano un bianchino e stanno lì tre ore prima di decidere di calare un quattro di bastoni! Non pretendo neppure il canone di locazione. È sufficiente che paghiate le consumazioni. L’arredamento arriverà domattina, compreso il bancone e una macchina per l’espresso davvero spaziale. Lara… la signora Lara… mi sembra che la conosciate bene entrambi… si occuperà della cucina, alla sera e nei fine settimana. Mentre Olga sarà la sua aiutante, si occuperà principalmente della mescita e di tenere pulito e in ordine l’ambiente. Olga! Prego, tesoro, vieni pure avanti… vieni a conoscere questi due barbagianni! Olga è di origine russe… si è appena trasferita da Cremona, dove ha finito da poco l’università. È la mia fidanzata… 
Olga fece il suo ingresso nello piccolo studio del sindaco, tappezzato di vecchie stampe ingiallite e gagliardetti sportivi. Olga… i due vecchietti restarono a bocca aperta, senza un filo di fiato. Che gnocca! Che bomba, che bambola. Uno schianto. Un tuffo al cuore. Un incanto. Una regina dei ghiacci, una guerriera scandinava, una tennista siberiana, una nuotatrice italiana e un’attrice australiana. Tutto questo era Olga. Un metro e ottantacinque di seduzione e di fascino, una presenza conturbante, statuaria e tuttavia sinuosa, morbida, flessibile. Nessuno osò immaginarla con qualche centimetro di tacco, al posto di quelle ballerine raso terra che indossava adesso. La visione che avevano dinanzi bastava e avanzava all’infinito. Lillo e Pepito riuscirono finalmente a deglutire. L’ex numero dieci della Bobbiese non riuscì a simulare un sorrisetto astuto e compiaciuto. 
— Allora? Che intenzioni avete? Accettate la mia proposta?
Lara, la cuoca, rappresentava invece una questione più spinosa. E conflittuale. Lara la fata. Lara la strega. Lara la volpe astuta, attraente, impulsiva, incosciente. Lara l’amante. Certamente una donna straordinaria, con i piedi ben piantati per terra, per la quale Camillo e Giuseppe avevano, alternativamente, perso la testa. Che dire? L’avevano amata entrambi, appassionatamente, irragionevolmente. L’avevano poi detestata, abbandonata e ancora aiutata, protetta, consolata. Neppure i compaesani coscritti come i due rivali amorosi erano riusciti a tenere il conto delle puntate di quella avvincente passione. Passione che aveva dato i suoi frutti. Un unico frutto, a dire il vero, che assomigliava solo alla madre, la quale, per motivi suoi, non aveva mai rivelato il mistero. Il segreto apparteneva soltanto a lei. A ogni modo quel figlio accettato, voluto e allevato fra mille difficoltà e diffidenze era cresciuto e ora viveva felice in Svizzera con la sua splendida famiglia.

Specifiche

  • Pagine: 130
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 14x20 cm
  • Isbn: 978-88-6810-430-6
  • Prezzo copertina: 12

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