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Edizioni del Loggione

AA.VV.
SOCC’MEL che viaggio!

SOCC’MEL che viaggio!
Prezzo Fiera 15,00
Prezzo fiera 15,00

Tutti noi abbiamo viaggiato, o sognato di farlo.
Il viaggio altro non è che qualcosa da ricordare per sempre.
Il viaggio è movimento, è un insieme di immagini, profumi, sensazioni ispirate da un luogo diverso da quello a cui siamo abituati.
Un bolognese, viaggiando, è felice se ovunque arriva trova un po’ di casa. Difficilmente sarà accontentato se dovesse sperare di mangiare tortellini o altre specialità ma, non si sa mai: potrebbe incappare in scorci che gli ricordano Bologna. Una città con le strade disposte a raggiera, o casa con i mattoni rossi, per esempio. E se mai vedesse un po’ di antiche torri, o un portico?
Il viaggio ideale sta nel giusto mix tra il conforto dell’idea di casa, per cacciare la nostalgia, e la scoperta di cose nuove, per soddisfare il bisogno di scoprire, di vedere.
I racconti di questa antologia parlano di viaggi, ma non viaggi qualsiasi: sono percorsi di bolognesi verso il resto del mondo, o esperienze di persone che dal resto del mondo approdano a Bologna, e di Bologna non si scorderanno più.
Partendo da Bologna, o arrivando a Bologna, qual è la cosa che tutti noi esclamiamo, parlando di un viaggio che non dimenticheremo più?
“Socc’mel… che viaggio!”
55 racconti, 55 autori da tutte le regioni italiane

Primo capitolo

BOLOGNA PER ME
Andrea Albertazzi

Non potrò mai dimenticare la Bologna della mia gioventù. Non tanto e non solo per i ricordi in sé, ma anche e soprattutto perché era qualcosa di molto diverso dalla Bologna di oggi. Io appartengo a una di quelle generazioni che ha conosciuto gli ultimi personaggi della città, quelli veri, spesso strampalati, come si dice da noi. Oggi non ce ne sono più, per me, e se ci sono, hanno solo pallide somiglianze con quell’innumerevole raccolta di cartole che popolava Bologna. Certo le icone, nate o vissute qui, e oggi in buona parte scomparse, sono: Lucio Dalla, Hengel Gualdi, Gianni Morandi, Francesco Guccini, Dino Sarti, Freak Antoni, Andrea Pazienza, Jimmy Villotti, veri monumenti nazionali.
In giro, ed esattamente tutte le domeniche pomeriggio, in Piazza Maggiore, ha resistito per anni, fino a poco tempo fa, Beppe Maniglia, che credo abbia suonato, in gioventù, con i mitici Judas, negli anni Sessanta; con i suoi amplificatori, la chitarra graffiante, le borse dell’acqua calda, fatte esplodere con la forza dell’aria, che usciva dai suoi pettorali. Le regole del “buon vivere” che in questi anni hanno soffocato la città e soprattutto montagne di multe esorbitanti, per disturbo della quiete pubblica, hanno piegato anche lui. Saluti Beppe!
A proposito di Jimmy Vilotti, ricordato prima, mi sovviene un episodio, non proprio fra i più memorabili della sua vita, quasi leggendaria. Era la fine degli anni Settanta, il grande Jimmy Vilotti era, forse, in un momento no e lo trovai casualmente in una discoteca sulla strada per Medicina, di cui non ricordo il nome. All’epoca nascevano come funghi questi locali fuori Bologna, dove si andava a intortare perché c’erano le campagnole più facili da conquistare. 
Jimmy, che stava a quel locale come un esquimese sta al deserto del Sahara, salì sul palco cominciando con alcuni suoi raffinati pezzi alla chitarra, che gli ottusi frequentatori del locale fischiarono sonoramente. Villotti, allora, ebbe una reazione:
«Volete qualcosa di diverso? Volete ballare?» esclamò. «Bene, vi do quello che volete!» e avvinghiato alle corde del suo strumento eseguì alcuni pezzi rock, che andavano per la maggiore. I fischi, almeno quelli, scemarono. Grande Jimmy!
Però io vorrei ricordare alcuni personaggi, celebri solo a Bologna, ma che tutti conoscevano e di cui si parlava come fossero degli amici o dei parenti, anche se spesso non si era mai scambiata una parola con loro, e a questo proposito mi viene in mente “Profilo”. Sì, lo chiamavamo così, il re dei fighetti, che frequentava il Club 37 e poi la Capannina e lo ricordo, spesso, al Lord Bar in fondo a via Indipendenza. Sempre di profilo, non ti guardava mai, elegantissimo, serio, silenzioso, con in mano un whisky. 
Di lui, noi comuni mortali, non sapevamo quasi nulla. Era un gran donnaiolo? Un uomo molto ricco? Mah? Così si mormorava. Era Profilo, e lo si doveva osservare con rispetto e ammirazione.
Un altro celebre playboy fu Raul Casali, bellissimo, con gli occhi azzurri. Abitava in centro e forse era ricco, ma girava sempre con la stessa giacca di pelle scura, sempre quella. Era la sua divisa. Pieno di fidanzate, perché lui le donne le amava tutte, ed erano tutte fidanzate, anche contemporaneamente. 
Raul era un nostalgico del fascismo. Se capitavi a casa sua, ti sorbivi i discorsi del Duce, che lui amava ascoltare in religioso silenzio, con i dischi della Decca messi sul giradischi. “Italiani, uomini e donne d’Italia, dell’impero d’Africa e del Regno d’Albania…” Tutti ad ascoltare e ad applaudire, tanto per non scontentarlo.
Quando s’ammalava, più di una di queste lo accudivano al capezzale! Si vociferava, e la voce, sicuramente, era stata messa in giro da lui, che fosse stato, nientemeno che con Brigitte Bardot, ma questo era tutto da dimostrare!!!
Un’altra cartola era Mandrillo, che credo sia ancora vivo, diminutivo del suo cognome, Mandrioli, ma il nome era associato anche alla sua natura di sciupafemmine. 
A questo punto, devo fare una digressione. A Bologna, è passato il ’68, come altrove. Si faceva politica; si era impegnati nelle lotte civili e sociali e lo si sa bene, ma, al di là di ciò, restava un “must”, come si dice oggi, che i bravi maschietti avevano sempre nelle loro teste, quando camminavano per il centro, quando erano a chiacchierare nei bar, al cinema e un po’ ovunque: la donna. 
Bene, Mandrillo era nella musica, suonava la chitarra e per un periodo fu il dj del Ciak, alla Barca. Cavolo! Che tempi quelli del Ciak! Ci andavano le meglio ragazze di Bologna e Mandrillo, faccia da mascalzone, con un’aria sorniona e quasi blasé, fra una canzone e l’altra sparava le sue cazzate che facevano divertire le donne, e poi… ci pensava lui, dopo, Mandrillo!
Wilson! Mi è tornato in mente anche lui. Tarchiato, muscoloso, taurino, col petto villoso, giacca di pelle, e con un po’ di balbuzie. Il suo nome circolò per un po’ di anni. Poi non ho più saputo nulla di lui. Udite, udite! Wilson era gay, ma non un gay effemminato. Si comportava come un macho. Caricava le sue vittime sulla sua grossa moto e via! Gli piaceva avvicinare i ragazzini, mostrando la sua fisicità. Era generoso, offriva sigarette e bevute, ma dopo non si scherzava con Wilson! 
Per un breve periodo, in estate frequentò il bar in Via Romagnoli, dove andavano tanti ragazzi e anch’io. Una sera, in vena di confidenze, raccontò balbettando:
«Qua… ndo pa… sso da Za… Zanarini, fanno fi… nta di non co… conoscermi, ma me... me ne so… no fatti più di u… uno di quegli stron... stronzetti!»
Passiamo ai matti: Tamarindo. Tamaro confidenzialmente, non so se fosse proprio matto, certo, non aveva l’aria di un sobrio professionista. Giallognolo, sui 40/50, un po’ ingobbito, sigaretta, spesso, in bocca, una brutta pelle e gli occhi quasi febbricitanti. 
Si spostava da una zona all’altra della città con la sua fidanzata, di cui non ricordo il nome, piccola e con i capelli neri alla maschietta, come si diceva allora.
Il suo momento d’oro avvenne quando fu ospitato al Costanzo Show. Da lì partì il momento di massima fama che durò un po’ e poi finì. Spesso citava Costanzo, definendolo quasi il padrone del mondo. Tamaro, un mito tutto bolognese!
Mentre sono qui disteso a meditare, mi sovvengono le immagini dei tempi trascorsi inutilmente e pigramente al Bar, in quegli anni giovanili.
C’è stato un “io” che stava chiuso fra sé e sé. Un “io” che leggeva e studiava o andava a teatro. Un “io” che, svogliatamente, lavorava. Un “io” che, quando poteva, viaggiava. C’è stato anche un “io” che stava al bar, come al solito un pò in disparte a osservare l’arrogante, il nullafacente, il fighetto, il giocatore incallito, l’ubriacone e il senza-famiglia. Tutte figure poco edificanti. 
Senz’altro quel tempo non è stato il migliore, ma comunque un frammento di vita pieno di altre figurine anche simpatiche e didattiche. Altri personaggi minori, ma altrettanto curiosi.
Il signor Rocchi, ad esempio. Aveva poco più di sessant’anni ma era quasi cieco e acciaccato. Per anni aveva venduto abbigliamento in Piazzola, in quel mercato di Bologna dove all’epoca si sentiva ancora parlare il dialetto bolognese e dove, adesso, fai fatica a sentire l’italiano!
Apparteneva a una famiglia di gatti rossi, come si dice. Anche il figlio, che ho conosciuto, e il nipote, tutti matti per le donne! 
La moglie lo accompagnava al bar e lo aiutava a sedersi davanti a un grappino. Era triste, illanguidito e aspettava la fine prematura. Rimaneva seduto come assorto, ma appena si parlava di femmine pareva risvegliarsi dal torpore. Si guardava intorno e allungava l’orecchio, tanto amava ancora l’argomento. Come dice Peter Sellers: la speranza non muore mai nella mente di un autentico sporcaccione. 
Noi ragazzi ce ne eravamo accorti e ci divertivamo a raccontare, a voce alta, mirabolanti balle sulle donne, per vederlo estasiare. Un giorno ci confidò con rassegnata malinconia che la cosa che più lo rattristava era l’impossibilità ormai di farsi una bella scorpacciata di sesso. «Ah - esclamava in puro bolognese. - S’ai avess ‘na figheina fràsca d’alchèr, a mourirev piò countàint! (se avessi una fighina fresca da leccare, morirei più contento!). Povero signor Rocchi... le uniche cose che poteva fare, ormai, erano: leccare gelati e morire scontento. Amen.
Poi, lo Zio, come dimenticare, lo Zio! Non so il suo nome. Era stato ricco. Si era mangiato milioni, dell’epoca, ai cavalli; scommesse e cose così. La moglie gli aveva fatto bloccare il conto corrente per evitare la rovina totale. Aveva inventato un linguaggio per prendere in giro, bonariamente, le persone. Un linguaggio che anticipava la mitica supercazzola di Amici Miei!!
Si trattava del Piritolato, o qualcosa del genere. Un linguaggio col quale, alla fine di frasi normali, ci si infilava una parola inventata, o fuori luogo. 
Passava qualcuno fuori dal bar e lo Zio gli rivolgeva una domanda: «Scusi lei per caso dintilato?» Quello non capiva. Tirava dritto. Se rispondeva: «Scusi, non ho capito. Cos’ha detto?» Lo Zio, accennava un gesto, come dire “Niente, niente”. 
Tutti poi ridevano come matti e imitavano il linguaggio dello Zio!
Una volta lo Zio beccò male, come si dice, e ci restò di m… Un signore passò con un cane e lui lo apostrofò: «Scusi signore quel cane è scappellato?»
«Sì, nella punta!» rispose impettito il signore, e tirò dritto.
Che città che era Bologna. Piena di fermenti culturali e civili, ma anche con questa ricchezza di umanità, che sapeva sorridere per piccole cose, scherzi banali e gogliarderie!
Sembra niente, ma guardando l’oggi, i suoi incubi, le sue schizofrenie, la sua bieca follia, che bello sarebbe tornare indietro!

Specifiche

  • Pagine: 300
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: 14x20 cm
  • Isbn: 978-88-9347-065-0
  • Prezzo copertina: 15

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