Marco Nicolini
Sottacqua

Sottacqua
Prezzo Fiera 18,00
Prezzo fiera 18,00 Racconti

Nel raccontare storie l’autore entra nei segreti della vita e ne rileva i valori, a volte celati dal dramma, a volte tracimanti nel dramma. Con una capacità introspettiva non comune, scava nell’esistenza rivelando spesso i tratti autobiografici del proprio carattere che ha o che vorrebbe avere. Nella presentazione del libro di grande successo “Storie di pugili” leggiamo: ”La vita, in fondo, non è che un succedersi di round: alcuni li perdiamo, altri li vinciamo. Altre volte finiamo al tappeto. ”  Ecco, sconfiggere le ingiustizie collettive e individuali rappresenta il fine della sua scrittura.

“L’anagrafe di Tripoli era un intricato sistema di corridoi affollati
da cittadini e di uffici chiusi da vetrate,
dietro le quali centinaia di impiegati non cercavano nemmeno
di dissimulare inefficienza e svogliatezza.”

Primo capitolo

l libraio di Majanicho
Il libraio italiano di Majanicho chiudeva sempre nel tardo
pomeriggio; sprangava la porta di vetro del negozio a
picco sul mare, camminava tra i pescherecci, inforcava la
bicicletta e tornava nella sua minuscola casa nel nulla.
A quell’ora della sera, la sua immensa solitudine tornava
a pesargli.
Era in quel mentre che il Gilberto tracciava, per pochi
tristi minuti, il bilancio della propria vita.
Entro pochi mesi sarebbe diventato ottantenne.
Trentacinque anni prima, in Libano, in missione coi
genieri del contingente italiano, aveva respirato del “lewisite”,
un gas altamente tossico che aveva costretto i medici a
rimuovergli un rene e gli aveva lasciato in eredità un’asma
difficilmente curabile.
Ad ogni buon conto, la sua vita era già andata a catafascio
da parecchi anni.
Si era sposato venticinquenne e aveva avuto una splendida
figlia di nome Eleonora.
Aveva comprato una casa in provincia di Treviso, a nove
chilometri dalla caserma.
Si era ambientato benissimo lui, pratese di mamma beneventana
e cresciuto nel milanese, in una terra di grande
amore e passione per il rugby.
Aveva cominciato a diventare popolare una volta giunto
ad allenare la mischia della seconda squadra della Benetton
e grazie ad una personalità magnetica che da sempre nutriva
con grandi letture.
Poi, mentre la figlia cresceva e la moglie apriva un negozio
di parrucchiera al pianterreno della loro casa, la situazione
gli era sfuggita di mano.
Alle nottate a base di birra, prosecco e grappa si era aggiunta
la cocaina. Tutti i giorni. Tutte le notti.
Al culmine di ciò, si era invaghito della ballerina di un
locale notturno.
Una notte non era più tornato a casa, evolvendo in una
confusione fisica e mentale che, chi si chiude nella stanza di
alcol e droga, nega a se stesso fino all’ultimo.
La moglie, logorata da anni in cui il marito aveva fatto
decine di ritorni e nuovi inizi, aveva alla fine chiesto ed ottenuto
la separazione; la ballerina gli aveva prosciugato ogni
altro avere.
Il suo capitano aveva deciso, quindi, di spedirlo in Libano,
dove si era rimesso in sesto grazie al sincero cameratismo
dei commilitoni, i quali lo avevano aiutato a superare i difficili
mesi di astinenza.
Dopo l’incidente, era stato rimpatriato e operato d’urgenza
all’ospedale militare di Padova ed aveva ottenuto la
pensione e il congedo.
Non aveva più rivisto la figlia: la moglie non aveva preteso
aiuti economici, ma si era trasferita senza lasciar traccia.
A nulla erano valsi i suoi tentativi per rivederle; aveva
interpellato ogni amico ed ogni ufficio, ma un vecchio ordi-
ne di restrizione impediva di poterle rintracciare con l’aiuto
della legge.
Dopo alcuni anni, ormai quasi sessantenne, quando la
sua asma lo aveva già portato vicino alla morte in varie occasioni,
si era arreso e trasferito in clima più caldi e secchi,
secondo quanto suggeritogli dai medici; aveva trovato il
selvaggio nord di Fuerteventura adatto alla sua penitenza e
aveva aperto la sua libreria sulle rocce dove, con un occhio
al mare e l’altro ai libri, si era messo ad attendere la morte.
Da quasi quarant’anni non beveva alcolici.
Si preparò una tisana e, dopo aver sbrigato alcune faccende,
si accomodò sull’amaca per leggere un libro fatto arrivare
dall’Italia e che gli stava piacendo, che raccoglieva i racconti
di uno scrittore esordiente sui grandi pugili del presente e
del passato.
Bussarono alla porta.
Poteva essere solo la piccola Nuria, figlia dei vicini.
Era lei! Stava piangendo.
La cosa gli spezzava il cuore, perché Gilberto aveva visto
la piccola nascere e, su di lei, aveva riversato l’amore di babbo
e nonno negatogli dalla tossicodipendenza della sua vita
precedente.
Prima che lei cominciasse a sfogarsi raccontandogli l’accaduto,
Gilberto aveva già capito.
Nuria aveva creato una piccola area recintata dove ospitava
animali feriti o cagnoline con le cucciolate.
Tercero Delgado, un omone sdentato e violento che abitava
ad oltre un chilometro, sosteneva che giungessero cattivi
odori fino a casa sua: un’assurdità dettata dalla voglia di
provocare e disturbare da parte dell’uomo.
“Vieni a vedere, Gilberto!”
Questa volta Tercero aveva abbandonato le parole per
passare alla violenza, secondo la sua natura.
Due cagnoline e le loro intere cucciolate erano state sterminate
a bastonate, la gabbia degli uccellini feriti data alle
fiamme, i gatti avvelenati.
Figlio del politico più potente di Fuerteventura, Tercero
era intoccabile: le sue violenze sarebbero continuate, perché
la polizia, vigliaccamente, lo difendeva.
Gilberto decise di andargli a parlare.
Mandò Nuria a casa, dopo averle preparato una cioccolata
con panna; la bimba era comunque inconsolabile.
Uccidere degli animali innocenti e mostrare la brutalità
del mondo ad una bimba dal cuore limpido, resero collerico
Gilberto.
Il quale, però, era ormai vecchio e malato.
La casa di Tercero rifletteva la personalità dell’uomo che
la abitava. Era sporca, squallida ed emanava ostilità.
Gli avrebbe parlato e lo avrebbe fatto ragionare. Le persone
realmente cattive sono pochissime in questo mondo,
si disse.
In pace e con le migliori intenzioni, Gilberto bussò alla
porta in legno della “baracca” di Tercero.
Il quale aprì con violenza e odio, urlandogli in volto:
“Che cazzo vuoi vecchio di merda??!?”
Gilberto sentì il primo, fortissimo colpo alla spalla giuntogli
con la trivella che Tercero usava per il proprio orto malcurato.
Poi il secondo, appena sotto l’orecchio. Poi, più nulla.
Riprese conoscenza e sentì da subito grande dolore. Ri-
cordò immediatamente cosa gli fosse successo e analizzò la
situazione; era stato un soldato e quello era il protocollo.
Non stava respirando autonomamente: indossava una
mascherina collegata alla macchina dell’ossigeno.
Muoveva il braccio destro, ma non il sinistro, che era
bloccato in un’imbracatura.
Una gamba era steccata, ma entrambe si muovevano:
non aveva lesioni midollari, all’apparenza, ma gli doleva
ogni singolo millimetro quadrato del suo corpo.
Il suo risveglio fu prontamente notato dagli abitanti della
casa che, riconobbe dalla vista della finestra sulla sua, era
quella di Nuria e dei suoi genitori.
Arrivarono Nuria e sua madre. Il padre era per mare,
mentre l’altro uomo nella stanza, un giovane, era il medico
del paese, suo abituale cliente in libreria.
“Sei vivo per miracolo, Gilberto”, disse Nuria con le lacrime
che le rigavano il volto.
Poi parlò il dottor Jabilés: “Senza aver fortunatamente
perso troppo sangue, siamo riusciti a salvarti pur non portandoti
in ospedale” – disse con tono preoccupato – “Ma il
tuo quadro clinico è davvero grave: queste percosse ricevute,
l’età avanzata, i valori del sangue, l’asma e il fatto che ti
manchi un rene...potresti morire da un momento all’altro,
Gilberto”.
Lui non badò troppo alla cosa. Aveva già disposto presso
il notaio che, a morte avvenuta, la sua casa ed il negozio
sarebbero andati a Nuria e alla sua famiglia.
Chiese solo una cosa: “Tercero ha fatto qualcos’altro?”
Sì, in effetti l’aveva fatto. Tercero non aveva riposto le
armi, nemmeno dopo averlo quasi ucciso. Nuria aveva spostato
il suo piccolo zoo in una zona sotto la collina, quindi a
quasi cinque chilometri da casa di Tercero, ma alla mattina
successiva nulla era stato ritrovato, poveri animali compresi.
Nuria e sua madre erano state dalla polizia, perdendo
tempo e venendo sbeffeggiate dagli agenti.
Gilberto cominciò a pensare a quali fossero le possibilità
di uscire da questa situazione, ma la stanchezza ebbe la meglio
e crollò addormentato.
Alle cinque del mattino di due giorni dopo, Gilberto
appoggiò la gamba steccata al terreno: riusciva a camminare.
Aveva un braccio funzionante e la mano sinistra pur col
braccio immobilizzato, poteva essere d’ausilio: aveva molte
faccende da sbrigare. Si recò nel garage che utilizzava per i
propri lavori.
Tre ore dopo, era pronto.
Lentamente, si mosse verso casa di Tercero.
Dopo duecento, dolorosissimi passi, Gilberto scorse, a
pochi metri dalla porta di Tercero, la figura di una donna
che appoggiava le mani sulle spalle di un ragazzino che poteva
avere circa dodici anni.
“Buongiorno, signore”, disse la donna in italiano.
Sorpreso, Gilberto rispose: “Buongiorno a lei”
Trascorsero alcuni attimi di silenzio.
“Lei è il libraio italiano di Majanicho?”, chiese la donna.
“Sono io!” – rispose Gilberto – “Ma oggi non aprirò il
negozio”.
“Ma aprirà, prima o poi, vero?”, insisté l’elegante signora.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Non credo!”, disse Gilberto.
“Non è la prima cosa che lei lascia a metà, mi sembra di
capire”, disse nuovamente sorprendendolo la donna.
Gilberto si prese altri secondi.
“Ne ho lasciate tante. È il rischio che si corre quando si
è destinati a fallire la propria esistenza”, rispose poi tristemente.
“Io credo che sia troppo difficile definire il fallimento di
una persona. Ma tu sei qui per abbandonare: questo è sicuramente
un fallimento!”
La donna e il bambino – dopo queste parole – si erano
avvicinati alla porta di Tercero, come ad impedire a Gilberto
di avvicinarsi ad un potenziale assassino che, in effetti, già lo
aveva quasi ucciso.
Arrivandole vicino, Gilberto, vide negli occhi la bellezza
antica che l’aveva rapito quasi sessant’anni prima.
“Sei bellissima Eleonora! Come tua mamma. Ti ringrazio
di essermi venuta a trovarmi con mio nipote.” Dicendolo,
Gilberto passò una mano sulla testa capelluta del ragazzo.
Poi continuò: “È un vero peccato che voi ora non siate
qui e che le vostre figure siano solo il frutto della mia immaginazione”.
Con gli occhi arrossati da una dignitosa commozione, la
donna non voleva arrendersi.
“Senz’altro, papà, noi non siamo qui ora!” – disse mentre
il suo corpo e quello del figlio si andavano dissolvendo come
in un sogno nell’approssimarsi del risveglio – “Ma non credere
che il tuo continuo pensarmi non sia stato percepito.
Tu sei sempre con me, con la mia famiglia. Sei mio padre.
Per sempre!”
Gilberto sorrise amaro, negli ultimi istanti della propria
vita.
“Addio figlia mia. Perdonami! Se potessi tornare indietro
vivrei ogni istante della tua vita che ho perduto. Ma, purtroppo,
non si può e mai si potrà.”
L’immagine della figlia, però, era già definitivamente svanita.
In quel mentre, Tercero, svegliato dal rumore e sorpreso
non poco dal vedere nuovamente il vecchio intento a parlare
da solo, davanti al suo uscio, spalancò la porta e prese Gilberto
per la giacca, strattonandolo con violenza.
Così facendo, tirò il filo che costituiva l’innesco collegato
all’ordigno di fertilizzante e glicerina che Gilberto si era
spalmato professionalmente intorno al corpo, fermandolo
con della carta da forno.
Esplosero immediatamente. Violentemente.
Tercero fece dieci metri in volo atterrando nell’orto e sopravvivendo
per sei, dolorosi minuti.
Gilberto morì all’istante, concludendo quella vita di sfortune
e mistero che, da quando il sapere è trasmesso via carta,
accompagna come una lettera scarlatta, o come stimmate
nascosta, i librai di tutto il mondo, tutori delle lettere fatti
essi stessi d’inchiostro, appassionati a risate silenziose e storie
struggenti, a sospiri e lacrime, a sogni ad occhi aperti e notti
insonni e burrascose.

Specifiche

  • Pagine: 320
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 122x188
  • Isbn: 88-6086-181-8
  • Prezzo copertina: 18,00

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