Il racconto

OLTRE LO SPECCHIO

La mela gli cadde proprio sulla testa,  rotolando poi sull’erbetta vicino a lui. Almeno il frutto non lo aveva scansato, pensò Marco. D’altronde, la testa ce l’aveva di dimensioni normali, si disse con un pizzico di autoironia.

Fosse stato un novello Newton avrebbe ricavato dall’episodio lo spunto per qualche rivoluzionaria teoria. Ma non lo era… no di certo. E la sua mente era troppo  occupata dal ricordo di quegli insulti che gli ronzavano, come tutti i giorni, dentro, per occuparsi di altro. Appena arrivato nel viale che lo portava a casa si era rifugiato all’ombra di quel melo, distrutto.

“Nano, nano”, gli avevano gridato ancora una volta tutti i compagni di scuola in coro.

E come dar loro torto?

Colpa di quelle gambe tozze che non ne volevano sapere di crescere, e che lo facevano sentire ogni giorno più diverso! Chissà se era un nano, parlando dal punto di vista strettamente medico… ma cosa contava? Era comunque, e nettamente, il più basso della sua classe, ignorato dalle ragazze, che lo guardavano con un’aria di commiserazione e denigrato dalla maggior parte dei compagni.

Raccolse la mela e gli diede un morso. Almeno avrebbe tacitato i morsi della fame, visto che di tornare a casa non ne voleva sapere.

Avrebbe vagato per la città, almeno fino a quando la stanchezza avrebbe preso il sopravvento sui cattivi pensieri. E solo allora sarebbe rientrato. I suoi, come al solito, si sarebbero infuriati per il ritardo, senza capir nulla del suo disagio. Come sempre. Anche se avesse parlato ai suoi genitori, cosa ne avrebbe ricavato? I soliti incoraggiamenti idioti, la solita sottovalutazione della sua sofferenza.

Camminava da un po’, quando si accorse di essere in prossimità del Luna Park. Spesso le giostre si fermavano nel suo quartiere e quando Marco era più piccolo, aveva passato belle giornate lì, con suo padre. Tempi più sereni… quando la distanza dagli altri era minore e la speranza di crescere maggiore!

Non tutte le giostre erano già attive, ma fu inevitabilmente attirato da una in particolare: quella degli specchi deformanti.

“Posso entrarci?”chiese al giostraio.

“Se fai il biglietto, certo!”

“Non ho soldi… ma voglio entrarci. Per favore… ho voglia di sentirmi uguale agli altri!”

Il giostraio fece un cenno di assenso e Marco corse dentro, andandosi a posizionare subito davanti allo specchio che rendeva, finalmente, le sue gambe lunghe e slanciate!

Il tempo passava ma non si decideva a muoversi da lì, per paura di far terminare quell’attimo magico in cui  era finalmente uguale agli altri.

Il giostraio gli si avvicinò.

“Specchi… illusioni per chi è soddisfatto della propria realtà e vuole giocare con essa. Ma anche rivalsa per chi cerca una fuga da ciò che non può accettare. Illusioni, che durano un attimo e che non serve a nulla prolungare. Perché, quando si spengono le luci del Luna Park, resta solo la verità con cui fare i conti”

E mentre pronunciava queste parole, l’uomo gli arrivò a fianco e gli porse la mano destra, in cui spiccava una grossa pietra.

“Rompi quello specchio, Marco… non cibarti di illusioni. Accetta la realtà, con le sue durezze ed i tuoi limiti. Fallo ora, perché non c’è altra strada davanti a te…”

Marco prese la pietra dalla mano dell’uomo e la scagliò contro lo specchio, non senza scorgere, come ultima immagine riflessa, prima che quello andasse in frantumi,  la sua faccia finalmente sorridente.

Si svegliò sotto il melo, quando quel grosso frutto carambolò sulla sua fronte. Si massaggiò la testa e si alzò sulle sue gambe corte. E si avviò verso casa. E verso la sua vita.

 

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