Prima semifinale scriptor parte prima

I partecipanti

Leggi gli elaborati dei partecipanti e vota lo scrittore che hai preferito.
Il sondaggio e la possibilità del voto sarà attiva solo DOPO la prima visione della trasmissione (alle ore 14) e solo per 72 ore.
Per votare clicca sul bottone sottostante e inserisci nell'oggetto il nome dello scrittore che hai scelto

Saranno conteggiati i soli voti che arriveranno entro le ore 14 di venerdi 9 aprile.

Useremo la tua email solo per comunicarti i risultati di Scriptor. Potrai cancellare la tua email subito dopo la conclusione del talent show.

Nella prima parte della puntata i partecipanti affrontano il quiz ovvero una prova che prevede risposte ad una serie di domande di grammatica, curiosità etc.
Successivamente i giudici propongono due esercizi: la Roulette russa e Il Falso d'autore.
I partecipanti hanno avuto tre giorni di tempo per compiere gli esercizi e ora li trovate scorrendo la pagina in basso.

Nella seconda parte della prima puntata ci sarà la sintesi dei voti ottenuti, compreso il voto del pubblico a cui potete contribuire votando in alto a destra, e si definirà la classifica finale. Il partecipante che avrà ottenuto il punteggio più alto passerà alla seconda fase.
Nella seconda parte della puntata avremo un ospite che contribuirà con il proprio voto.

Roulette russa

Creare un racconto di massimo 3600 caratteri spazi compresi con tre ingredienti proposti dai giudici: un tema, un periodo storico, un luogo

  • Tema:

    la Trappola Sociale Pirandelliana

  • Genere:

    Fantascienza

  • Luogo:

    Prateria Americana (Tribù nativi americani)

PROGRAMMI

“Anni di studio,  per finire qui, a Standing Rock a manipolare la gente! Te ne rendi conto?”

“Ma di che ti lamenti? Siamo qui, comodi e ben pagati, a fare quello per cui abbiamo studiato! Tu il programmatore ed io il medico!”

“Ma lo capisci che qui programmiamo persone? Qui, in questi microchip, milioni di informazioni! Io li progetto e tu li installi sotto pelle, a centinaia di individui, di persone come te e me! Nobili discendenti d’ una stirpe fiera e gloriosa, ricevono, come marionette senza fili, le indicazioni su come muoversi, su come agire, perfino su quali emozioni provare! Tutto per compiacere migliaia di turisti idioti, e perpetrare ai loro occhi il mito dei nativi americani, in questa riserva trasformata in una specie di orrido parco giochi per adulti!”

“Ma non lo hai ancora capito? In questo ventunesimo secolo, ormai, anche la diversità è un’illusione, un paravento per tranquillizzare i nostri sensi di colpa, e sopportare la generale omologazione. Cosa sarebbe accaduto  se non si fosse adottato questo metodo che ti scandalizza tanto? Anche i nativi sarebbero diventati come la  mia gente. Sarebbero finiti nelle nostre periferie grigie, a soffrire e morire, magari durante un controllo di polizia, o su qualche marciapiede, per malattie che non hanno la possibilità di curare. Ah, certo… consolandosi, però, per aver visto finalmente il primo Presidente nero! Almeno così, grazie alla capacità informatica di quelli come te, regaliamo loro un ruolo da primi attori sul palcoscenico della vita.”

Bob ripensava, con la testa fra le mani a quell’assurdo dialogo con Carl. Era da un po’ che sentiva crescere la nausea per quell’incarico terribile, che giorno dopo giorno aveva massacrato le sue aspirazioni giovanili. Cresciuto in una famiglia sinceramente progressista, allevato con massicce dosi di tolleranza e multiculturalità, era stato orgoglioso di essere stato assunto dal Dipartimento di Stato per quel progetto di “Riqualificazione informatica delle riserve Indiane”.

Non avrebbe mai potuto pensare cosa si celasse sotto quel pomposo nome!

Ma era l’ultima frase di Carl, che gli rimbombava nella mente:

“Torna sulla terra, Bob! Non c’è molta differenza fra quello che tu fai a questi pellerossa, e quello che la società, che ti illudi di vedere come un’opportunità e non come una prigione, fa a noi! Non pensi che, fin da quando nasciamo, cresciamo, studiamo, accendiamo la tv, ascoltiamo una canzone, veniamo impostati, come se avessimo un invisibile microchip nel nostro cervello? Pensi davvero di aver “scelto” il tuo destino, e di non essere anche tu, manipolato dai giudizi degli altri, dalla necessità di rispondere al ruolo che gi altri ci assegnano?”

 Aveva ragione Carl? Era davvero un illuso a sentirsi diverso da quegli uomini, automi senza sapere di esserlo, che vedeva muoversi nella nebbia che avvolgeva il campo nella riserva?

Come era finito lì, a tradire i suoi sogni? Non aveva anch’egli agito solo per realizzare quel modello stereotipato che gli imponeva di “monetizzare” la sua enorme capacità intellettiva, e guadagnare una rispettabilità non solo economica?

Era alto già il sole quando prese la decisione. Aprì la cassaforte dove erano custoditi i microchip nuovi che Carl avrebbe installato il giorno dopo, e ne inserì uno, anomalo, che aveva costruito per sfizio, riproducendo in esso i tratti caratteriali del suo mito giovanile: Crazy Horse, il più grande e battagliero dei capi Sioux.

La mattina dopo, ci sarebbe stato in quella riserva un uomo programmato per la ribellione.

La sua, invece, era già cominciata.

Uomini Liberi

 

 

Luna al Crepuscolo mi guarda e sorride. Sa che sto facendo la scelta giusta. Siamo solo io e lei nella cabina di pilotaggio del piccolo tempo-velivolo. I comandi sono tarati verso il V secolo d.c., allora tutto era diverso, più libero, più genuino. Accarezzo con il dorso della mano il viso ambrato della mia dolce moglie e le prometto una grande prateria piena di verde, di bisonti, di pascoli infiniti e di libertà. Una lacrima le sfugge e so che è di gioia. Sono secoli che i nostri padri e i padri dei nostri padri ci costringono a vivere in una terra fatta di fibre sintetiche e di nano tecnologie. Io e Luna al Crepuscolo siamo stati selezionati come tutte le coppie delle Nuove Tribù per affinità genetica ed è stata solo la fortuna che ha voluto che ci innamorassimo. Dopo le guerre razziali del ventunesimo secolo i nostri antenati hanno creato una società sempre più cristallizzata nell'eugenetica. Dal finestrino dell'abitacolo guardo per l'ultima volta gli immensi palazzi di acciaio e vetrocemento delle corporazioni Navaho e Sioux e rabbrividisco al pensiero di tornare a lavorare in uno di quegli uffici dove l'unica cosa naturale sono gli esseri umani. Sia io che la mia donna siamo stanchi di non vedere mai il sole se non attraverso la grande cupola che ci protegge dalle radiazioni e non vogliamo che i nostri figli vivano obbligati a lavorare secondo quanto stabilito dai mega computer che governano la nostra società. Niente ci è permesso: chi dobbiamo sposare, cosa dobbiamo mangiare, come lavorare, cosa studiare. Tutto è diviso in settori   e i cittadini sono abbinati al colore della propria zona. Possiamo spostarci solo con determinati lasciapassare. Siamo esseri umani, ma sono i robot che pensano per noi. La società non ha pietà dell'individuo, tutto è volto al bene superiore della razza.  Luna al Crepuscolo si passa una mano sul ventre. Nostro figlio nascerà libero e solo la natura guiderà i suoi passi. Dobbiamo sbrigarci. Se i guardiani si accorgono di quello che stiamo per fare potremmo essere incarcerati a vita o persino processati e uccisi. Il salto nel tempo è programmato così come l'autodistruzione del velivolo. Non potranno rintracciarci. Sarà dura vivere in un ambiente selvaggio e sconosciuto, ma saremo liberi, finalmente.

Ahiga

Ahiga, colui che combatte, che nome pieno di speranzoso disprezzo mi hai dato cara tribù.

Non avevo ancora aperto gli occhi per scrutare questo meraviglioso mondo, eppure per voi già dovevo seminarvi i semi neri della guerra. Mi avete cresciuto in mezzo a pugnali d'ossidiana e lance scurite dalla forgiatura. Avete affamato il mio corpo per donargli i tratti duri del guerriero, bruciato la mia pelle sotto il sole d'estate, temprato il mio spirito sotto al deprimente cielo dell'inverno. Mi avete insegnato come infilare le mani nel petto, vivo, di un colonizzatore, per estrarne il cuore ancora pulsante in tre semplici movimenti. Mi avete insegnato ad accendere l'incenso solo per chiedere forza e fortuna, siete riusciti a privarmi anche della preghiera. Siete riusciti a insegnarmi tante cose, ma mai mi avete insegnato ad apprezzarlo.

Non sono una vittima solitaria. Non sono un martire che protegge solo la sua intera tribù. Sono solo uno di tanti ragazzi che hanno ricevuto questo trattamento.

Gli altri però sono felici. Felici quando andiamo a cacciare l'Orsogufo e il Rinobufalo. Felici quando voliamo, fra le nuvole, sopra i campi di colonizzatori, spiandoli, scappando poi, evitando i proiettili di polvere nera. Chunta, Enapai e Isi sono felici di tutto questo. Ed è qui che si apre la vostra trappola più mortale: i nostri pari.

 Quante volte Chunta mi ha tirato via da una lezione per tessitrici. Quante volte Enapai ha provato a pestarmi per la treccia, colorata, che mi sono fatto fare dalla bella Inue. Quante volte ho dovuto spiegare a Isi che il mio amore per la tessitura, il disegno e l'arcobaleno non cambi il fatto che la virilità maggiore la avrò sempre io fra le gambe. 

Ciò che brucia di più l'orgoglio è che alla fine ce l'abbiate fatta cara tribù. Sono qua, fuori dai nostri confini, a caccia della pelliccia che mi distinguerà come guerriero. Saranno le corna del Lupocervo ad adornare il mio capo? La coda dell'Ignopavone a farmi da arma? Le ali della Crioaquila a permettermi di volare?

Ringhio mentre raggiungo questo brullo altopiano, nemmeno l'ombra della vegetazione, lo scroscio dell'acqua sotto questo campo di battaglia. Mi siedo su un grosso masso di pietra rossa, le gambe bruciate incrociate, adornate dalla nera pittura da guerra, le mani immobili, nell'attesa dello scontro. Niente armi. Niente difese. Nudo contro la prova per diventare un vero Guerriero della Tribù.

C'è silenzio, c'è pace, troppa pace, troppo silenzio. Il predatore è vicino. Alzo lo sguardo, sorrido. Persino il destino sa cosa voglio nella vita. Un Cromavvoltoio, splendido rapace dal manto arcobaleno vola sopra di me. L'affilato becco di rubino che schiocca, gli artigli smeraldini che si aprono e chiudono, pregustando la presa.

Si abbatte su di me con la rapidità che solo una bestia tanto meravigliosa può avere.

Io sorrido. Il nostro corpo, il nostro cervello, ogni nostro movimento è un'espressione di tante piccole scariche elettriche. Scariche che faccio uscire dai miei pori, in mia difesa, aura fulminante che i letali artigli superano come fosse burro.

Io rido. L'impatto mi sbatte a terra, lui mi blocca le braccia. Mi fissa. Il suo sguardo di zaffiri cinerei è deluso. Pieno di Sdegnosa pena.

"Non voglio diventare un Guerriero" gli rivelo, sfoggiando il più amaro dei sorrisi. L'intelligentissima bestia capisce, comprende. Estende il collo verso l'alto, apre le ali, mostrandomi tutti i colori che la Tribù non mi ha concesso.  Punta il becco verso di me. Mira alla mia fronte.  Molto presto la raggiungerà.

Andrò dal grande Amitola, colui che dipinse l'arcobaleno.

Falso d'autore

Viene proposto l'estratto di un romanzo famoso, l'esercizio consiste nello riscriverlo convertendolo in un genere letterario diverso dall'originale e in un tempo specifico

  • Genere in cui convertirlo:

    Horror soprannaturale

  • Periodo storico da usare:

    Antica Grecia

QUANDO TUTTO INIZIA
F. Volo

A volte è come se sentissi la sua presenza.
Aveva una gonna ampia color nocciola e una camicia bianca. Ho avuto un piccolo sussulto di piacere, con lei mi succede spesso, quando la guardo.
Mi ha passato il caffè e si è seduta.
«C'era coda al bar?»
«Hai rischiato di arrivare a Verona da solo.»
Non capivo, l'ho guardata con il bicchiere di carta in mano.
«Ho incontrato un uomo che mi ha offerto il caffè e una vita senza problemi.»
Ho sorriso prima di dare un sorso. «Non si può mai stare tranquilli.» Mi aveva preso un caffè lungo e senza zucchero, come piace a me.
Si è seduta e ha cambiato discorso: «Qual è l'idea della campagna?».
«Vogliono rilanciare un prodotto leader per l'azienda, che è sul mercato da cinquant’anni e ha fatto la storia del marchio. Parto dall'idea che un anno è un giro completo della terra intorno al sole. Io ho trentanove anni, il che significa che ho girato trentanove volte intorno al sole.»
«Non ci avevo mai pensato. Ho girato intorno al sole trentacinque volte e nemmeno lo sapevo.»
«Dimostri meno giri.»
È scoppiata a ridere. Ogni volta che lo fa mi contagia, è capace di ridere di gusto come i bambini.
«Allora, sentiamo, che ti ha detto l'uomo del bar?»
«Credevo di essere riuscita a depistarti. Geloso?»
«Curioso.»
«Di cosa?»
«Di come approcciano gli uomini. Il rimorchio è il vero advertising, devi vendere te stesso in un paio di battute, frasi a effetto per piazzare un prodotto.»
Ha sorriso con malizia.
Ho sempre invidiato le donne, se ne stanno lì ad aspettare che qualcuno si avvicini e si giochi la carta buona, la strategia vincente.
«La maggior parte delle volte è una delusione» ha detto.
«Anch'io lo sono stato?»
Non ero riuscito a trattenermi dal chiederglielo.
«Tu no e sai perché?»
L'ho guardata in silenzio, in attesa di sentire come sarebbe andata avanti.
«Non mi hai avvicinato con l'intenzione di sedurmi. Anche la seconda volta che ci siamo visti, mi hai parlato in modo normale, non hai tentato nessuna strategia. Sono caduta nella tua rete senza che tu lo volessi, come uno di quei pesci che abboccano all'amo anche se non c'è l'esca, solo perché hanno visto qualcosa luccicare.»
«E chi ti dice che non fosse quella la strategia? La non-strategia come strategia?»
Ha sorriso: «Sei intelligente, ma non così intelligente, sei sempre un uomo. Una cosa del genere potrebbe pensarla solo una donna».
Abbiamo riso e non ho resistito, l'ho baciata lì, davanti a tutto il vagone. Silvia aveva un luccichio da cui non riuscivo a difendermi.
Poi, prima che tornasse a immergersi nella lettura, sono tornato io all'attacco: «E l'uomo del bar?».
«Quello ne ha fatti parecchi, di giri intorno al sole, avrà avuto l'età di mio padre.»
Mi è sembrata infastidita.
«Non ti ha fatto piacere?»
«Mi ha messo in crisi» ha sorriso, poi ha aggiunto: «Nonostante la sua età ha pensato di avere delle possibilità con me. Non credevo di sembrare così disperata».
Silvia è l'unica donna che conosco a cui piace ironizzare così su di sé.
«Almeno è stato gentile?»
«Molto galante.»
«Ti ha offerto il fazzoletto di stoffa?»
«Fin lì non è arrivato» ha risposto ridendo. «Mi ha fatto capire chiaramente di essere un uomo capace di prendersi cura di una donna.»
«Nel senso che aveva i soldi?»
«Soldi e soprattutto esperienza. Sapeva cosa fare.»
«E tu cosa hai risposto?»
Ha aspettato qualche secondo prima di parlare. «Che non mi andava di guidare.»
L'ho guardata per essere sicuro di aver capito bene.
«Gli uomini di quell'età hanno la macchina grossa, ma la guida la moglie giovane» ha spiegato.
Ho immaginato un suv guidato da una bella bionda sulla cinquantina con la coda alta, in tenuta da tennis. Accanto a lei, il corpo accartocciato di un vecchio che si aggrappa alla maniglia sopra la portiera.
«Non ho voglia di scarrozzarlo in giro» ha aggiunto, e siamo scoppiati a ridere.
Le ho preso la mano e le ho baciato le dita. Non gliel'ho lasciata finché non siamo arrivati a Verona. Le sue mani sono come una calamita per me, appena posso le tengo tra le mie

Sentiva la sua presenza.

Quando la vide ebbe un sussulto di piacere, come gli succedeva sempre, quando la

guardava. Indossava un’ampia tunica bianca.

«Hai tardato», le disse.

«Ho incontrato un uomo che mi ha guardato, ed il suo sguardo era diverso dal tuo. Nei suoi occhi vedevo la forza, ma anche la pazienza di Zeus, mentre nei tuoi vedo solo la rapacità di Cerbero»

Sorrise beffardo.

Alla luce delle torce, che ardevano nell’antro, lei sembrava ancora più bella. E davvero avrebbe voluto essere un Cerbero, per potersi cibare di lei con tre bocche, contemporaneamente, per soddisfare più velocemente la smania di possesso che lo pervadeva. Perché era tornata, allora, se lo temeva?

Avevano funzionato i riti propiziatori in onore di Afrodite?

Davvero la dea aveva preso a cuore quella sua passione smisurata e violenta?

O non avrebbe fatto meglio, con la sua grande capacità di padroneggiare l’occulto, a rivolgersi alle divinità del male, che sole potevano avere compassione del suo tormento insano?

«Cosa ti ha detto quell'uomo?»

«Non mi ha parlato… né io ho ricambiato il suo sguardo»

«Non ti credo»

«Perchè? Sai che sei l’unico uomo, al di fuori della mia famiglia, a cui rivolgo la parola. Da quel giorno in cui commisi l’errore di venire da te per conoscere il mio destino, non riesco più a farne a meno»

«Anche senza parlare, si può dire tanto. Il sorriso di una donna parla più delle bocche dell’intera Argolide. L’uomo pensa stoltamente di condurre il gioco, ma Afrodite ha rilevato i misteri dell’amore solo alle donne”

Dopo aver pronunciato quelle frasi indicò con la mano un punto nell’antro, dove, improvvisamente, comparve la figura di un uomo adulto, con la sua tunica elegante.

“E’ questo l’uomo che hai visto?”

La fanciulla riconobbe nell’uomo apparso, quello incontrato prima.

«Quell’uomo sta pensando a te! Piccola cagna! Io riesco a leggere nel suo cuore e so che sta pensando al tuo sorriso! E questo è abbastanza per morire!” 

La fanciulla si gettò ai suoi piedi, implorando:

“No! Non è vero, non ho fatto nulla di male! Ho sentito il suo sguardo sul viso, ma i miei occhi si sono subito abbassati! Non farmi del male!»

«Non è a te che farò del male, ma a lui, che ha avuto l’ardire di sfiorare ciò che è mio! Ma prima… dimmi, cos’hai visto in lui, in questo insulso essere, già quasi canuto…”

«Te l’ho detto… la calma e la sicura sponda di un genitore. Null’altro. Vedi anche tu che potrebbe essere mio padre, quel padre che troppo presto ho perso. Dal suo sguardo ho ricevuto quel calore che non ho più, da quel giorno maledetto»

«Tu menti! Osi negare che in lui hai visto anche l’uomo?»

La fanciulla tremava, al suo cospetto. Accadeva tutte le volte che si presentava da lui. Eppure non riusciva a sottrarsi a quel supplizio. Da quando, per la prima volta, era salita alla rocca, vinta dal dolore per il ricordo del padre, non era più riuscita a liberarsi da quella strana attrazione .

«Nonostante la sua pelle mostri i segni del tempo, quell’uomo sta pensando di averti. E dovrà pagare per questo!»

Pronunciò delle oscure frasi, volgendo lo sguardo verso quella figura che si intuiva nell’oscurità.

Tutt’ad un tratto, l’uomo canuto, portò convulsamente le mani sul collo, come se non riuscisse a respirare.

La fanciulla urlò, consapevole che si stava di nuovo compiendo un altro dei terribili sortilegi, di cui incolpevolmente si sentiva causa.

«Deve pagare! Anche lui, come gi altri, nessuno deve guardarti»

Ripetè di nuovo quelle frasi ed improvvisamente a fianco all’immagine evocata,  apparvero due esseri mostruosi dal corpo di serpente e dal muso di aquila, che strinsero con le proprie spire, il corpo dell’uomo .

Per quanti sforzi facesse, il malcapitato non riusciva a liberarsi dalla stretta di quei due mostruosi esseri, e mentre la fanciulla, atterrita, si copriva gli occhi per sottrarsi a quello spettacolo inverecondo, l’uomo spirò, e l’immagine, come d’incanto, svanì, lasciando lo spazio all’oscurità della grotta.

L'accordo

Di tanto in tanto è come se percepissi la sua presenza.

Ho provato un fremito di godimento, mi succede spesso quando la osservo. Aveva una leggera tunica di lino e sandaletti di cuoio legati sino al polpaccio. Prima di accomodarsi su un piccolo scranno di legno mi ha passato una coppa di vino speziato.

«La taverna era affollata?»

«Hai rischiato di arrivare da solo a Maratona»

Non riuscivo a comprenderla. L'ho guardata con la coppa in mano.

«Ho incontrato un uomo che mi ha offerto un'anfora di vino italico e un'esistenza senza angosce»
 
Ho sorriso prima di sorseggiare. «Non si può mai stare sereni.» Mi
aveva offerto un vino molto speziato e forte come di mio gusto.


«Cosa hai in mente riguardo al tempio?»
«Le voci dicono che c'è un'arpia che sorveglia le colonne interne, sembra che nessuno riesca a passare senza venire divorato»
«Non potrebbe essere una Sfinge? Forse pone delle domande ai viaggiatori»
«Non credo, penso che le voci siano vere»


È scoppiata in una risata schietta, mi ricorda molto quella dei bambini.


«Bene, quindi che ti ha chiesto l'uomo della taverna?»
«Credevo di averti distratto. Geloso?»
«Forse un po', di certo curioso.»
«Curioso?»
«Di come gli altri riescano ad approcciarsi, soprattutto a te. Quali parole scelgono per cercare di convincerti?»


Ha fatto un largo sorriso molto femminile. Ho sempre provato invidia per le belle donne come lei capaci di far girare la testa a molti uomini. Se solo gli altri sapessero cosa sia in realtà  si guarderebbero bene anche solo di avvicinarla.
.
«Sono piuttosto deludenti, troppo deboli, troppo umani» mi ha risposto.
«Lo sono stato anche io? Deludente, voglio dire...»


Non ero riuscito a trattenermi dal chiederglielo.


«Tu no, ovviamente, altrimenti non sarei qui»


Adesso ero davvero curioso di sapere cosa pensasse di me.


«Non mi hai avvicinata per sedurmi, sei stato onesto sin dall'inizio e hai capito subito la mia vera natura. Anche se per tutti non sono altro che una “bella donna” tu ti sei reso subito conto della verità, non so come tu abbia fatto, ma...»


«Poteva essere anche quella una tecnica per sedurti»


Ha sorriso: «Sei intelligente, hai capito subito chi sono».


Abbiamo riso di cuore, è vero io sono un cacciatore di mostri e l'avevo  notata per alcuni inquietanti particolari. Però invece di catturarla ho provato simpatia per lei e da allora formiamo una specie di strana quanto pericolosa società.

 

 «E poi con il tizio della taverna?».
«Non sembrava appetitoso, non come te, comunque»


Mi ha risposto un po' annoiata.

.
«Lo hai lasciato andare? Ricordi il nostro patto... non devi lasciare tracce»
«Uno spuntino lo avrei fatto, ma c'era troppa gente, troppi testimoni».
 

Si stiracchia e per un istante assume la forma di un cane, allunga le zampe e la schiena, sbadiglia, guasice e poi ritorna a essere una donna bellissima.


«Spero che sia stato almeno cortese con te»
«Molto, un vero uomo libero»
«Ti ha offerto solo del vino?»
«Esatto e mi ha fatto intendere che era un tipo che ci sa fare con le donne»
«Ti è sembrato uno pieno di pezzi d'oro?»
«Sì e anche una certa dose di esperienza»
«E tu cosa hai fatto?»
«Gli ho detto che stavo comprando il vino per mio marito. Lui è stato abbastanza furbo da lasciar perdere»
 

Mi sono immaginato l'uomo mentre insisteva con lei. Se fosse stato stupido l'avrebbe seguita sino a qualche vicolo e poi avrebbe cercato di baciarla. Rabbrividisco al pensiero di lei che gli strappa le carni con le zanne affilate e ne divora le parti più tenere.


«Te l'ho detto non mi sembrava affatto appetitoso » ha aggiunto, e siamo scoppiati a ridere.
 Con un coltello mi sono fatto un piccolo taglio e le ho permesso di succhiare un po' del mio sangue. Siamo una coppia incredibile, ma da quando ho stretto il mio patto con lei riesco a lavorare meglio e con più serenità. La sua terribile forza è al mio servizio sino a che le offrirò adeguati pasti di sangue. A lei fa piacere avere qualcuno con cui parlare. Anche un'Empusa può sentirsi sola.
 
 

A volte sento ancora la sua presenza.
Aveva un peplo bianco a brandelli e la spilla infilata nella spalla. Ho un
piccolo sussulto di paura, con lei mi succede spesso, quando la
sento vicina.


Pochi giorni fa Tecla mi aveva passato il bicchiere e si era seduta.
«C'era tanta gente all’Agorà?»
«Hai rischiato di rimanere qua al Tempio da solo.»
Lo sapevo, la guardai con il bicchiere fra le mani.
«Ho incontrato un uomo che voleva rapirmi.»
Nascosi il sorriso dando un sorso. «Non si può mai stare tranquilli.» Mi
aveva preso un qualche liquido da umani alcolizzati, come piace a me.
Si accasciò a me e disse: «Qual è l’idea per la festività?».
«Vogliono rilanciare il mito di Persefone per festeggiare l’arrivo della Primavera tardiva. Parto dall'idea che un anno è scandito dallo scendere ed il risalire della Regina degli Inferi.. Io ho trentanove anni, il che significa che ho assistito al suo viaggio per settantotto volte.»
«Non ci avevo mai pensato. Ho assistito ad una faida familiare per settanta volte
e nemmeno lo sapevo.»
«Bello spettacolo?»
Scoppiò a ridere. Ogni volta che lo fa mi contagia, è capace di
ridere di gusto come i bambini. La voglio.
«Allora, sentiamo, che è successo all’Agorà?»
«Credevo di essere riuscita a depistarti. Curioso?»
«Una specie.»
«In che senso?»
«Nel senso che non so ancora se sia stato un piacere o meno.»
Ha sorriso. Perché ha sorriso?
Sono io il Semidio che governo il gioco. Perchè sorride?
«Piacere» ha detto.
«Anch'io lo sono?»
Non ero riuscito a trattenermi dal chiederglielo.
«Tu no e sai perché?»
L'ho guardata in silenzio, in attesa di sentire come sarebbe andata
avanti.
«Non mi hai avvicinato con l'intenzione di sedurmi. Anche la seconda
volta che ci siamo visti, mi hai parlato in modo normale, hai finto di non aver
tentato nessuna strategia. Volevi che cadessi nella tua rete senza che tu lo
volessi, come uno di quei pesci che abboccano all'amo anche se non c'è
l'esca, solo perché hanno visto qualcosa luccicare.»
«E chi ti dice che fosse strategia? Se non ci fosse stata nessuna strategia?»
Sorrise: «Sei intelligente, ma non così intelligente, sei sempre un
uomo. Una cosa del genere potrebbe pensarla solo un mostro».
Rise e non ho resistetti, la pugnalai alla gola. In mezzo al sangue che sgorgava, Tecla aveva un luccichio di cui non riuscivo a capacitarmi
Poi, prima ancora che estraessi il pugnale, mi uscì una domanda dettata dall’istinto. «E’ per questo che quell’uomo non ce l’ha fatta?».
«Quello non vedrà più discendere Persefone»
Mi è sembrò divertita. Come si può essere divertiti?
«Non ti ha fatto piacere?»
«Sei in crisi» sorrise, per poi ha aggiungere: «Nonostante la tua mezza divinità non ti capaciti di cosa sia successo.».
Tecla è l'unica cosa che mi faccia paura. Iniziò quando mi alzai da quella maledetta panchina del tempio, inseguito dal rumore delle ossa che si spezzano per lasciare posto a una forma mostruosa. Anche adesso che sono fuori dal Tempio, nella mia casa. La sento avvicinarsi, viscida, si muove tutt’intorno a me.
«Dove sei?»
Nessuna risposta. Guardo negli specchi attorno a me. Non può fare nulla dagli specchi.
«Perchè ce l’hai con me. »
Ancora niente.
«Cosa vuoi?»
«Che ti arrenda. Sai cosa fare.»
Cosa le rispondo?
Afferro la spada, mi aiuterà. So che mi aiuterà. «Che c’è piccolo mezzo dio?»
La cerco con lo sguardo. Le ombre si muovono confuse attorno a me. La sua sagoma compare sul muro, bidimensionale, tridimensionale, reale.
«Gli uomini della tua età sono i migliori, bei muscoli, bei visini.» Spiega.
Immagino il mio corpo davanti al tempio di Delfi, intento a sorreggere un qualche altare, o all’Agorà, intento a sorvegliare la democrazia.
«Forza, mettiti in posa. » sibila, uscendo dall’ombra. Capelli vivi, semoventi, fatti squame e spire dagli occhi rossi e lingue biforcute. Il corpo attraente di Tecla ricoperto dalla polvere, lunghe unghie nere, la bocca sghembe e senza denti. Illuminata di rosso dalla lava che la riempie. I suoi occhi neri...
L’ho guardata negli occhi.

Pagherò per sempre i suoi bellissimi occhi.
 

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