Il racconto

L’inquilino del piano di sopra

Un filo di bava mi lega al cuscino. Sono riversa a pancia in giù sul materasso in lattice, con la testa reclinata verso il petto. Ho la sensazione di trovarmi su un letto di pietre, sento dolore ovunque. Tento di aprire gli occhi ma qualcosa me lo impedisce. Una forza misteriosa mi costringe a stare nel mio giaciglio, immobile, con il fiato sospeso e con il cuore scalpitante. Mi sembra di stare in un film horror, di quelli in cui i protagonisti vengono legati e sedati per giorni, chiusi in stanze anguste, buie e fredde. Cerco invano di attivare i miei cinque sensi per capire cosa mi stia accadendo.
Mentre decido di rassegnarmi, un suono, dapprima impercettibile, diventa sempre più chiaro. È una canzone che fa così Diceva le cose che dici tu / Aveva gli stessi occhi che hai tu / Mi avevi abbandonata / ed io mi son trovata / a un tratto già abbracciata a lui… / Perdono, perdono, perdono… / io soffro più ancora di te! / Perdono, perdono, perdono… / il male l'ho fatto più a me!

Al di là di quale sia il titolo della canzone, ciò che mi colpisce è proprio quel fruscio in sottofondo. Quel suono e quel fruscio appartengono a un mondo che conosco benissimo, la puntina che graffia i solchi sonori del vinile. Di sicuro mi trovo in una stanza con uno stereo munito di giradischi. Soltanto i dee-jay e gli appassionati, come me, dei 45 e 33 giri sanno riconoscere quel suono caldo dei dischi in vinile.

Ma dove sono? Intanto la bava continua a tessere la sua ragnatela viscosa sul guanciale che, nel frattempo, è diventato umido e fresco. Poi, improvvisamente, una folata di vento inizia ad accarezzarmi i capelli. Sembra che qualcuno mi stia alitando sul capo e io non riesco ancora a ridestarmi. Le palpebre tremolanti non riescono a restituirmi la vista. Intanto l’olfatto inizia a percepire qualcosa, un odore, piacevole e nauseabondo allo stesso tempo: aroma di caffè misto a nicotina. Un odore troppo familiare per me, eppure non riesco proprio a capire dove sono e come ci sono arrivata. Mentre rimugino ipotesi, qualcosa di gelido comincia a strisciare sul mio collo per poi finire sotto l’ascella sinistra, dopo aver solcato una sezione del mio seno.

Finalmente riesco ad aprire gli occhi, anche se ancora appannati dal sonno, mi pulisco la bocca con il palmo della mano destra, e chi vedo di fronte a me? Lui, l’inquilino del piano di sopra, Giacomo Baldo. Sigaretta stretta tra le labbra sottili e le dita della mano destra ancora gocciolanti, segno che è stato lui a poggiare il cubetto di ghiaccio sul collo per svegliarmi, così come è stato lui a posare un vassoio con caffè e cornetto fumante sul comodino. Avrei voluto ucciderlo ma sono letteralmente sotto l’effetto ipnotico del suo fascino irresistibile. La voglia di trascinarlo nel letto con me, da un lato, e la promessa di essere fedele a mio marito, dall’altra, mi mandano in confusione totale.

Un suono assordante mi spacca i timpani. Sono nel mio letto. La sveglia mi annuncia che sono le sette e trenta e che devo alzarmi per andare in ufficio. Dalla cucina, mio marito mi annuncia che il caffè e il cornetto sono pronti. Interrompo il suono della sveglia con un click, tiro un sospiro di sollievo e mi tranquillizzo pensando che è stato soltanto un sogno, di quelli che al risveglio sembrano reali. Raggiungo mio marito come uno zombie, mi siedo di fronte a lui senza proferire parola e, mentre lui mi stampa un bacio sulle labbra tumide, il cervello decide di farmi una bella domanda. “E se adesso ti trovassi di fronte a Giacomo, cosa faresti?”

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