Il racconto

Una vecchia canzone

<Babbo, quanto manca?>

Silvia se ne stava rattrappita sul sedile posteriore.

Eravamo partiti da Bologna appena dopo pranzo per raggiungere Coiano, una ridente località vicino a Prato dove una zia di mia madre, recentemente scomparsa, ci aveva lasciato in eredità una casa che aveva sempre affittato, anche se erano anni che nessuno l’abitava più.

L’ultimo inquilino era stato un tedesco che, molti anni prima, se ne era andato improvvisamente senza pagare e senza lasciare notizie.

<Manca poco>

Mia moglie non parlava anche se sapevo cosa pensava, e cioè che quello era un viaggio inutile e che i costi della successione sarebbero stati più alti del valore dell’immobile.

Arrivammo in meno di mezzora e, dopo aver parcheggiato in un piazzale poco distante, entrammo subito in casa.

Questa sembrava una torre saracena. Al piano terra c’era la cucina con in mezzo un tavolo in marmo bianco e da un lato, appoggiata al muro, una vecchia credenza con sopra una radio-giradischi, come quelle che usavano un tempo, grande quanto un baule.

Poi, ai due piani superiori, un bagno grande quanto un salotto, una stanza di sbratto e le camere, poste una di fronte all’altra. Queste erano ampie ma con dei mobili in ottone nero che parevano più adatti a una chiesa che a una stanza da letto.

<Mica vuoi dormire qui?> chiese Giulia preoccupata.

<Dai! a quest’ora non troviamo più niente…ed è solo per una sera>

Silvia esultò per quella decisione, mentre mia moglie fece una smorfia, poi mi spedirono a comprare qualcosa da mangiare alla bottega di piazza.

Il negozio era ben fornito e il gestore pareva affabile.

<Buonasera, vorrei un po' di soppressa e del pane>

Dal retrobottega uscì una signora con un grembiule bianco, probabilmente la moglie del negoziante.

<Lei non è di qui?>

No, sono il nipote dell’Angiolina, sono venuto a vedere casa, sa quella specie di torre in fondo alla via>

L’uomo tacque, e la donna si fece il segno della croce.

<Qualcosa non va?>

<No, solo vecchie storie>

<La prego, dica. Sono abbastanza adulto>

<Se crede…si racconta che in quella casa sia stato ammazzato per vendetta, e poi sepolto, un tedesco che aveva commesso diversi crimini durante la guerra… e ora c’è chi dice che questo si aggiri senza pace per quelle stanze>

Guardai l’uomo per capire se credesse veramente in quelle storie da medioevo, e lui sembrò intuire i miei pensieri.

<<Mi perdoni sa, io non credo a certe cose, ma visto che me lo ha chiesto!>

<Non si preoccupi>

Pagai e tornai dai miei senza raccontare nulla, poi, dopo aver apprezzato la qualità degli affettati, ci ritirammo tutti in una sola camera.

Fu nel cuore della notte che Giulia mi svegliò.

<Lo senti anche tu?>

Dal piano terra giungeva l’eco di una melodia.

<Vado a vedere>

Il campanile della chiesa stava battendo l’ultimo rintocco della mezzanotte.

<No – disse Giulia con la voce impaurita – andiamo tutti insieme>

Mentre scendevamo le scale abbracciati l’uno all’altra, il suono salì d’intensità, come se qualcuno regolasse il volume.

<Hai chiuso bene la porta?>

Mia moglie rispose di getto.

<Certo, e tirato bene il chiavistello>

Giunti in fondo alle scale, mi resi conto che conoscevo quel brano di cui però non ricordavo il nome.

Preso dal portaombrelli un bastone da passeggio col manico in ferro, entrammo nella stanza.

La porta era ancora chiusa dall’interno, mentre sopra il tavolo, accanto a un giornale in lingua tedesca, c’era un bicchiere con un cubetto di ghiaccio e del liquore, probabilmente whiskey.

Sul piatto del vecchio giradischi girava un vinile graffiato che diffondeva intorno e a tutto volume le note di Lily Marlene.

A. M. Righini

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