Il racconto

La guantierina di paste

La maestra Irma Fichera, concluso il canonico lutto stretto per la prematura vedovanza, si era decisa ad affittare la stanza che il marito occupava per i suoi hobby.

Avrebbe gradito per inquilina una studentessa, ma aveva fretta: la pensione di reversibilità era modesta e quando si era presentato l’uomo distinto, giovanile, qualificandosi come magistrato, così signorile da non trattare su pigione e cauzione, si era persuasa di aver davanti l'inquilino giusto.

La carta d’identità diceva trattarsi di un romagnolo trentottenne di Cesena, coniugato.

«Se non sono indiscreta, dottore, mi spiega come mai da lassù a quaggiù a Palermo...» e lasciò il finale nel vago.

«Sono trasferte utili alla carriera… sa» ed era rimasto pure lui sulle generali «magari un annetto...»

«Capisco. Ha di bisogno qualcosa di particolare, dottore?» chiese con compiacente accento siculo mostrandogli le funzionalità dell’alloggio.

«No, non manca nulla. Solo, se possibile, vorrei poter ascoltare con questo giradischi portatile la mia musica. A basso volume, s’intende e... anche a notte inoltrata. Mi distrae dal lavoro» precisò mostrandole la fonovaligia Lesa60 bianca e blu.

«Ma certo, dottore. La mia camera è lontana e la sua finestra dà sull’orto delle monache.»

Formale ma schietto l’inizio del rapporto - pensava la riservata vedova - per conoscerlo meglio c’era tempo.

I mesi di quel ‘64 scorrevano sereni.

Il magistrato era lì da fine gennaio e intendeva far scendere moglie e figlia per tre settimane di vacanza estiva a Taormina.

Lavorava sodo, tornava in Tribunale pure il sabato. La domenica niente messa - questo un po’ turbava la devota vedova - solo una passeggiata a metà mattina dalla quale se lo vedeva arrivare talvolta con una guantierina di paste per lei.

Nel monotono succedersi dei giorni era ormai fine luglio.

Quella domenica la calura era soffocante. Si consolava pensando “ancora la prossima e poi rivedrò le mie donnine”. Stava chiuso come sempre nella sua stanza. Era solito farsi riempire al bar due thermos di acqua minerale ghiacciata bastevoli fino a notte, ma con quell’afa…

Ne aveva solo di calda.

«Signora Irma» chiamò entrando nel vestibolo col bicchiere in mano.

«Dica, dottore.»

«Mi favorisce un cubetto di ghiaccio

«Ma certo, pure mille, dottore» e tornò con una scodellina piena. Non perse l’occasione dell’inusitata sortita dell’uomo dalla stanza per cavarsi un dubbio:

«La vedo preoccupato, dottore. C’è caso che si sta occupando di qualche rrobba di... mafia?»

Per un attimo il magistrato esitò; poi, per tranquillizzarla: «Ma no, che dice… anche se qua» aggiunse con malizia «pure il furto di un ago può celare risvolti mafiosi. Che cosa glielo fa pensare?»

«Mi scusi se mi sono permessa, ma è da un po’ di sere che, passando davanti alla sua porta, non sento più Morandi e Caterina Caselli, ma solo Tenco e Aznavour. Sa, io li seguo alla televisione e so...»

L’uomo parve turbato, ma subito rise: «Complimenti! Acuta osservatrice, signora Irma Maigret. Con permesso, ora rientro ... il ghiaccio si scioglie» e sparì nella stanza.

La domenica seguente la vedova era ospite tutto il giorno della cugina Rosa, a Mondello.

Era ora di pranzo: «Irma, accendi la tivvù che c’è il notiziario.»

«Rosa, le stesse cose dicono...»

«E va bene, accendila uguale.»

«Palermo. Ennesimo delitto di mafia. Stamane un giovane magistrato romagnolo, mentre usciva da una pasticceria di Via Maqueda con una piccola guantiera di paste ... »

La vedova Irma Fichera cadde a terra come un sacco di patate.

«Corri, Totò, Irma è svenuta. Sarà il caldo. E spegni quella camurrìa di televisione!»

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