Il racconto

Risveglio

La ragazza giaceva sul letto, immobile. Il suo respiro era regolare.

Giusy pensò che fosse proprio una tragedia. Infermiera da anni, ne aveva viste tante, ma quella ragazza era in coma e aveva appena diciotto anni. Si chiamava Clara Menotti. Al pensiero che tutto fosse accaduto a causa di un grande tatuaggio che si era infettato, provò una gran rabbia. Il tatuatore di pochi scrupoli, che la polizia stava cercando, sicuramente aveva utilizzato aghi non sterili. Ancora ricordava le gravi condizioni quando era arrivata lì. Tutta la parte dove c’era il tatuaggio, una farfalla le cui ali azzurre e gialle sembravano abbracciarle il punto vita, era totalmente infetta e purulenta. I medici avevano fatto tutto il possibile, ma poi la situazione era precipitata. Era in coma da diversi giorni e probabilmente si sarebbe svegliata, ma chissà quando. Giusy sospirò, non poteva fare nulla se non il proprio dovere. Controllò, perciò, i valori pressori e cardiaci e li annotò sulla cartella clinica. Dopo aver sostituito il farmaco della flebo, spinse il carrello verso la porta. Prima di uscire, volse un ultimo sguardo alla ragazza ma, basita, si bloccò. Le sembrò, infatti, che avesse mosso un dito. Era possibile? Trepidante, quasi con timore, Giusy si avvicinò alla ragazza. Lei mosse alcune dita. Allora si chinò su di lei, per osservarle il viso: i globi oculari si muovevano sotto le palpebre. Sì, non c’erano dubbi, Clara si stava svegliando. Spinse il pulsante rosso del telecomando e, come una saetta, uscì sul corridoio dove fu raggiunta dalla capo-sala. Questa, appurata l’urgenza, avvisò immediatamente il professor Lentini, che arrivò seguito dai praticanti. L’uomo, con tono di voce calmo e premuroso, che sembrava più quello di un padre piuttosto che quello di un dottore, si chinò sulla ragazza: “Clara, Clara, svegliati, apri gli occhi!”

Clara li aprì ma, vedendo solo immagini confuse, spaventata, li richiuse. Il medico la esortò con dolcezza e questa volta andò meglio. Si guardò intorno, smarrita. Dove si trovava? E chi erano tutte quelle persone? Aprì la bocca per chiederlo, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Terrorizzata, per attirare l’attenzione mosse il braccio, quello con la flebo, ma accorgendosi dell’ago fu presa da puro panico. “Aiuto, liberatemi, aiuto!” avrebbe voluto dire e poi, improvvisamente, la voce le tornò. L’urlo che fece sembrò quasi disumano: “Aiuto! Togliete questo ago!” Era smarrita. “Dove sono? Cosa è successo?”

Sei in ospedale” le spiegò il dottore.

In ospedale?” ripeté lei senza capire.

Non ti ricordi?” fece di rimando il medico. Lei scosse la testa. No, non ricordava nulla se non di essere uscita con il suo ragazzo.

Ti chiami Clara. Questo lo ricordi?” chiese ancora il dottore.

Lei lo guardò, atterrita. Scosse ancora la testa. No, non lo ricordava, non sapeva chi fosse e perché era lì. Con pazienza il dottore le spiegò cosa fosse successo. Clara urlò. “Tatuaggio? Io? Io ho il terrore degli aghi e mai, dico mai mi sarei fatta fare un tatuaggio!”

Purtroppo è così” asserì il dottore, ma Clara era molto agitata. Le posò una mano sulla spalla. “Stai tranquilla, stai guarendo e piano piano ricorderai tutto. Sii certa, prenderemo il bastardo che ti ha fatto questo. Ora riposa, ci vediamo più tardi.” Uscendo, il dottore si rivolse ai praticanti: “Clara soffre di belonefobia, una patologia non così rara come si può, invece, pensare e il fatto che abbia un’amnesia, è una conseguenza del coma, ma sono sicuro che non le ci vorrà molto per riprendersi. E’ molto forte”.

L’eco della sua voce si allontanò lungo il corridoio.

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