AA VV
A porte chiuse

A porte chiuse
Prezzo Fiera 15,00
Prezzo fiera 15,00

Trentaquattro racconti, schegge di vita vissuta, spunti di riflessione generati dal caos di una epidemia. Paura, rabbia, incertezza, ma anche speranza e valori rinnovati in una modernità inaspettatamente condizionata da regressi e ritorni ad una visione più ridimensionata della condizione umana. E quindi, la "nuvola rosa" che viene a colorare il futuro di ampie sfumature di fiducia e rinascita

Primo capitolo

Amiche per... Covid

di Maria Luparia

Sono anni che abita nell’appartamento sopra al mio ma non l’ho mai conosciuta veramente. Buongiorno. Buonasera. Niente di più. So appena che vive sola, vedova credo. E non penso abbia figli, non ho mai incrociato nessuno per le scale oltre a lei. Avrà tra i 70 e gli 80, portati bene. Qui non c’è l’ascensore ma non l’ho mai sentita lamentarsene. Una volta è anche venuta alla riunione di condominio! Insolito per una persona anziana, in genere si accaparra tutte le deleghe quell’impiccione del piano terra. Sono salite due persone in tuta bianca, bardate fino all’osso e sono andate da lei. Credo abbia preso il virus! Poveretta. E poveri noi. Il virus è entrato nel palazzo... aiuto! Ci faranno il tampone a tutti! No, in televisione dicono di no. Peggio! Già è un problema stare a casa, con un contagiato per vicino è da panico. Oddio! Suonano alla porta... meno male è solo la vicina! “Hai sentito Grazia? Dalla signora Betti sono andati quelli del 118. Credo sia stata stata messa in quarantena. Ha solo un lieve malessere ma probabilmente si è beccata il virus. Alla sua età! Vive sola, avrà bisogno di una mano, per la spesa o qualcos’altro. Lo sai, io ho due bambini piccoli. Andrei, ma come faccio con loro. Vai tu! Sei sola anche tu. Sei a casa dal lavoro. Hai tempo!” “Sei matta! E se mi becco il virus? Fai presto a dire vai tu!” “Ma no che non lo becchi il virus. Le parli dalla porta chiusa. Non c’è bisogno che tu la veda!” “Ma tu come le sai queste cose?” “Monti. Quello del pianterreno. Lui sa sempre tutto. Ma non si fida ad avvicinarsi perchè va’ per la settantina...” “Ah! E quindi devo andarci io che vado solo per la trentina. Non fa una piega!” “E dai Grazia! È un’occasione per fare una buona azione.” “E vabbè! Tanto avevo già pensato di andare al supermercato. Ora salgo.” Mi sono lasciata convincere da Sandra, ma ora non ne sono più tanto sicura. Ci fossero almeno stati gli altri inquilini di fronte... ma quelli vengono solo d’estate! Ormai sono qui! Suono! “Chi è? Non posso aprire.” “Lo so signora. Sono Grazia, la ragazza del piano di sotto. Come sta? Ha bisogno di qualcosa? Sto andando al supermercato.” “Oh! Grazie, grazie tante. Sto abbastanza bene ma mi farebbe davvero piacere se mi comprasse della frutta. Mele, banane, quello che vuole lei. Ho lo stomaco sottosopra e non riesco a mangiare altro. Aspetti. Le passo i soldi sotto la porta.” “Non si preoccupi. Me li darà dopo. Torno tra un po’.” È stato più facile del previsto. Dal tono della voce sembra simpatica, non la solita anziana lagnosa. “Eccomi! Mele, banane e anche delle pere. Le lascio la busta dietro la porta. Per i soldi... faremo tutto un conto! Torno domani. Nella busta ho messo anche un biglietto con il mio numero di telefono se dovesse avere bisogno di qualcosa...tanto sono a casa.” “Non so davvero come ringraziarla per ora. Grazia, vero? Io sono Marta. Diamoci del tu. È già così difficile parlare attraverso una porta chiusa!” “Ok Marta. A domani.” Marta aprì e prese il sacchetto di frutta appeso alla maniglia della porta. Il gesto gentile di Grazia l’aveva colta di sorpresa e di gratitudine. Credeva di essersi ormai abituata alla solitudine…. quanto si era sbagliata. Colpa di questa stupida malattia! Si diresse in cucina, l’unica stanza della casa con un balconcino. Un po’ d’aria! E un po’ d’acqua per le sue piantine che stentavano a crescere. Non aveva mai avuto il pollice verde! Dal terzo piano gli uomini erano soltanto macchie in movimento veloci, furtive, mascherine sul viso. Nessuno scambio di parole, solo qualche gesto di saluto. Una guerra silenziosa che stava decimando la popolazione. E una grande paura. Una novità per lei che non aveva mai avuto paura della morte. Domani avrebbe saputo l’esito del tampone. La febbre non era così alta. Ma il suo medico non aveva sentito ragioni “Meglio fare un tampone, subito. Sei stata esposta al rischio e poi hai una certa età!” Al telegiornale non parlavano d’altro che di anziani in rianimazione. Lei era anziana ormai, anche se proprio non riusciva a considerarsi tale. Non fino ad oggi! Se almeno non fosse andata alla casa di riposo la settimana scorsa! Le piaceva leggere ad alta voce e lo faceva volentieri, due volte alla settimana, romanzi, racconti, a volte anche solo un quotidiano. Gli ospiti di Villa Bianca l’aspettavano con gioia. C’erano stati due contagiati fra loro, aveva saputo! Chissà chi erano! Doveva reagire. “Non fasciarti la testa prima di rompertela!” glielo diceva sempre il suo povero Gianni. Doveva parlare con qualcuno della sua preoccupazione, per allentarla un po’. Doveva arrivare in fretta a domani! Si ritrovò tra le mani il biglietto di Grazia con il suo numero di telefono. Glielo aveva lasciato in caso di bisogno e lei aveva davvero bisogno del conforto di una voce, ora! Cercò il cordless per chiamare. Ma dove diavolo era? Che testa! Spostò le riviste di viaggio, magari era caduto dietro. Niente. Sul comodino! Si ricordò della chiamata della sorella, la mattina alle 8 quando era ancora fra le coperte. “Sì? Chi è?”Una vocina quasi infantile, attraversò il filo. “Ciao Grazia sono Marta. Spero di non disturbarti. Volevo solo ringraziarti senza una porta chiusa fra te e me. Ho un po’ di febbre e faccio fatica a parlarci attraverso! Sei stata davvero gentile, è stata una boccata d’aria la tua voce. Oggi mi hanno fatto il tampone ma saprò il risultato solo domani. Sono molto preoccupata.” “Lo sarei anch’io! Ma ancora non è sicuro no? Quando lo saprai con certezza?” “In mattinata.” “Vedrai, andrà tutto bene… Fammi sapere! Conta pure su di me, per quello che posso.” “Troverò il modo per ringraziarti. Buona notte e ancora grazie!” Il solo sentire una voce amica che la incoraggiava la fece sentire meglio! Che dono avevano le parole. “Il tampone è negativo! Ma devo stare in quarantena per via della febbre e dell’età. Tachipirina e riposo. Che paura ho avuto Grazia! Dovrò stare rinchiusa per un po’ ma non è niente in confronto a quello che temevo!” “Hai visto Marta? Te l’avevo detto! Riguardati, questo sì. Per qualunque cosa chiamami. Fra un po’ vengo su! Ti porto una tisana e dei biscotti: li ho fatti io. Cucinare è l’unico svago che mi è rimasto. Niente amici, niente shopping, niente palestra… sarò già ingrassata 2 chili! E niente lavoro… quello sì sta diventando un problema.” “Che lavoro fai?” “La commessa in un negozio di scarpe del centro. Sono nel mio! Adoro le scarpe! Spero di poter tornare presto al lavoro, ma non credo sarà così.” “Quando tutto sarà finito ti mostrerò le mie di scarpe. Le ho comprate in giro per il mondo. Alcune sono fatte a mano. Anch’io adoro le scarpe!” “Grande Marta! Ci conto. Peccato non passino da sotto la porta! E tu che lavoro facevi?” “La moglie! Un’occupazione molto impegnativa!” “Sicuro! È per questo che non mi sposerò mai!” I biglietti della spesa continuarono a passare sotto la porta chiusa per giorni, seguiti, quasi tutte le sere, da lunghe telefonate. Parlando di tutto e di niente. Marta raccontò a Grazia dei tanti viaggi per il mondo fatti con il marito. Dopo la sua morte lei non se l’era più sentita di andare in giro da sola. Ma aveva tanti bei ricordi a tenerle compagnia e molte fotografie che, ogni tanto, passavano sotto alla porta chiusa. Ormai conosceva tutti i suoi amici per nome e dove si trovavano i migliori locali alla moda, se mai avesse voluto cominciare a frequentarli! L’isolamento aveva prodotto l’effetto contrario! Da tempo Marta non si sentiva così vicino a qualcuno. Ma nonostante la confidenza che si era creata tra di loro, non poteva fare a meno di notare che non appena lei sfiorava qualche curiosità sulla sua vita privata, da Grazia otteneva solo risposte vaghe che cambiavano subito direzione. Sì, aveva saputo che veniva da un piccolo paese, che era stata fidanzata con un ragazzo di questa città… e che poi si erano lasciati. Tutto qui! Dei genitori non parlava mai! Forse aveva un fratello, ma non era sicura di ricordarselo bene! La gioiosa Grazia s’incupiva appena lei cercava di avvicinarsi all’argomento famiglia. Doveva trovare il modo per farla parlare! Forse il metodo diretto era l’unico: “Forza Grazia, vuota il sacco!” No. L’avrebbe fatta scappare. Ma la sincerità era la sola arma che conosceva bene e decise di usarla. Da dietro quella porta chiusa! Domani. Frugò tutta la notte tra le vecchie fotografie, vecchissime e tutte in bianco e nero. Sbiadite e consumate dagli anni ma ancora efficaci, almeno per quello che aveva in mente. “Stanotte non ho chiuso occhio! Proprio non mi riusciva di prendere sonno. Allora mi sono messa a frugare nel baule, quello che non apro mai perché l’ho sepolto sotto le mie bambole di porcellana. Ho trovato queste vecchie foto… te le passo sotto la porta. Sono quasi da museo!” “Che bel vestito e che bel cappellino aveva quella signora accanto a quell’omone con i baffoni.” “I miei nonni. Da parte di mamma. Nonna faceva la sarta e i vestiti se li cuciva da sola. Ne ha fatti tanti anche per me quando ero bambina. È morta troppo presto, le ero molto affezionata. Nelle altre due foto ci siamo io e mia sorella con i nostri genitori. Mia madre era dolcissima, mio padre meno. Non siamo mai andati molto d’accordo.” “Succede quasi sempre così. La mamma è buona, il papà… meno!” Stava capitolando! Marta era felice. Aveva trovato il tasto giusto! Non abbassare la guardia, vai avanti. “Gli uomini sono molto differenti dalle donne. Anche il mio povero marito, spesso, mi faceva arrabbiare. Non capiva! Eppure era tutto così facile da capire, almeno per me. Però mi voleva un gran bene e con quello si supera tutto.” “Mio padre mi odia! Altro che bene!” “Stai usando una parola grossa.” “Non ce ne sono altre!” “Raccontami un po’ di lui. Ti farà bene. Se vorrai, naturalmente, e quando vorrai. Certo non di sicuro attraverso questa maledetta porta. Chiamami! Giorno o notte, tanto non dormo più!” “Ci penserò. Ora devo andare. Ti ripasso le foto sotto alla porta. Buona notte Marta.” L’esca era stata gettata... Dai! Abbocca pesciolino! “Furba la “vecchia”! E anche impicciona!” Grazia era proprio furente. Più con se stessa che con Marta. Ci aveva messo così tanto tempo per seppellire il suo rancore, ed ora eccolo lì, più acceso che mai. Non aveva voluto parlarne con nessuno, non con i nuovi amici, non al nuovo lavoro, come se non parlarne facesse in modo che non fosse mai accaduto. Era una persona diversa prima! Prima di quel maledetto giorno! Due lineette rosse, e la vita cambia. Subito aveva pensato “Mio padre mi ammazza!” Era l’anno della maturità a cui sarebbe seguita l’università. I suoi genitori ci tenevano tanto! Avrebbe frequentato gli ultimi mesi con un po’ di pancetta, ma non se ne sarebbe accorto nessuno. “Tutta colpa di Diego. Tranquilla, tranquilla, non è mica la prima volta!” No, era stata colpa sua a fidarsi di un imbecille! Sua madre aveva cominciato a piangere. Suo padre invece aveva pronunciato solo un’unica parola “aborto”. Senza né sì né ma! No, lei non avrebbe mai potuto farlo. Erano seguiti giorni da incubo. Le minacce di suo padre, le preghiere di sua madre. Ma lei aveva già deciso! Era maggiorenne e poteva farlo! “Io non ho più una figlia”... e lei aveva imparato a fare a meno di un padre. E anche di una madre, incapace di reagire a un marito padre padrone. I genitori di Diego l’avevano accolta a casa loro, in città. Mentalità più aperta o solo rassegnati dalla circostanza. La madre, molto credente, aveva invocato l’aiuto del Signore, che non tardò ad arrivare. Al 4° mese di gravidanza un aborto spontaneo aveva messo fine a tutto. Ma proprio tutto! Lei e Diego si erano lasciati nel giro di un mese. Ma il padre di lui l’aveva aiutata a trovare un lavoro e l’appartamento dove ancora abitava, pagandole l’affitto per i primi tempi. Grand’uomo, Angelo! Suo padre e sua madre invece “morti”. Non l’avevano mai cercata, nemmeno sapevano dove abitava, o il suo nuovo numero di cellulare. Furono queste le parole, uscite tutte insieme, che Marta ascoltò, incredula, a mezzanotte passata, in una notte dove, per ironia della sorte, era riuscita a prendere sonno. “Mi dispiace Grazia. Non credevo. Domani ne parliamo se ne avrai ancora voglia. Ora calmati. Una bella camomilla calda e vai a dormire. Sarai molto stanca, i ricordi affaticano mente e corpo.” “È vero, sono stanchissima. Proverò a mettermi a letto. Scusa Marta, mi rendo conto solo ora che è notte fonda!” “Scherzi? Chiamami quando vuoi! Te l’ho detto io no? Giorno o notte! Di questi tempi fa poca differenza.” “Grazie! Ci sentiamo domani. Buona notte e scusami ancora.” Saranno state le 10 del mattino dopo quando Marta sentì suonare alla porta. “Grazia! Come stai?” “Bene, anche se non ho dormito molto. Non volevo telefonare. Ho bisogno di una voce vicina anche se dietro questa maledetta porta chiusa. Meglio sarebbe un abbraccio! Hai teso la trappola, vecchia volpe, e io ci sono cascata in pieno!” “Era quello che aspettavo. Non voglio fare la nonna del grillo parlante ma una cosa te la voglio dire. Se ci stai così male è perché non è finita, almeno non per te. E pensa a quella povera donna di tua madre! Su tuo padre preferisco non pronunciarmi, direi solo cattiverie gratuite e non sarebbe giusto. Ma tua madre... essere deboli rende la vita difficile. Tua madre forse è quella che ha pagato di più. Sarà stata una brava madre, prima!” “Certo e anche mio padre, a modo suo, è stato un buon padre. È proprio per questo che ci sono rimasta così male.” “Grazia, la gente cambia idea, ancora di più quando invecchia. Da quanto tempo non hai notizie di loro?” “Anni!” “Non credi sia arrivato il momento di ripensarci? Anche tuo padre, ne sono certa, ci avrà ripensato, tante volte. Ma non sa come fare. Tu sì! E se avessero preso il virus?” “Oddio, spero di no! Ma non so nemmeno se abbiano ancora lo stesso numero di telefono.” “Davvero tu credi che lo avrebbero cambiato? Sperando in una tua telefonata?” “Dici bene tu! Dai, prova! Ti dò il numero, prova a comporlo, vediamo se risponde qualcuno!” “Te la stai facendo addosso eh! Dai Grazia! Un po’ di coraggio. Se avessi avuto una figlia come te ne sarei fiera. Ti sei alzata le maniche, ti sei presa le tue responsabilità. Hai una casa, un lavoro, badi a te stessa. Cos’altro vorrebbe un genitore dal proprio figlio?” “Ci penserò. Ciao Marta, semmai ti chiamo. So che fai molta fatica a parlare con questa porta di mezzo. Ti chiamerò!” Quest’ultima frase suonò forzata e Marta si sentì molto triste. Aveva esagerato, lo sapeva. Era un’amicizia nata tra una porta chiusa, anche se ricordava un confessionale lei non avrebbe dovuto approfittarne. In fondo non si conoscevano così bene. Con che diritto le aveva teso quel tranello? Fra pochi giorni sarebbe finito l’isolamento, avrebbero potuto incontrarsi... e lei aveva rovinato tutto! Ci mise due giorni prima di decidersi. Ma ormai sarebbe stato difficile tornare indietro. . . . . . . . 657 “Mamma! Sono io!” 

Albatri

di Giampaolo “Sismo” Bertero

Ne sono arrivati altri, sento rumore sulle scale. Altri impavidi albatri da combattimento che corrono e strisciano i loro piedi per non perdere tempo a sollevarli. Il liquido gocciola lento senza guardarsi mai alle spalle, è di un colore rilassante, nella mia flebo c’è l’aurora boreale. La capo sala è una papera vestita di plastica e sia il becco che il petto si gonfiano e sgonfiano all’unisono, respiro affannato. Le nocche ruvide dell’immobilità mi si imprimono sul ventre e non riesco a prendere aria. Dalla finestra riesco a vedere un cielo attonito di fronte a tutto questo fragore, questo sfregamento di ossa, questo cercare una ragione. Nessuno mi rivolge la parola ed io tengo gli occhi socchiusi per non sporcare l’anima. La disposizione è la solita: i quattro lettini che ho di fronte sono pieni dello sconforto a batterie arrugginite di ieri, gli stessi disperati che si iniettano clorofilla da una settimana. Quello tracagnotto col ventilatore azzurro è sempre immobile, ma respira. Deve essere un fioraio, lo dico perché ha lo sguardo di chi vende emozioni e io sono un romantico. Mi fanno male i piedi, flagellati da costellazioni di piaghe non attese e la noia mi solletica le caviglie. Ha tempo, lei, se ne sta inginocchiata vicino al mio letto con in mano lo scadenziario dei miei sbagli. Temo di dover saldare l’intero conto lo stesso giorno, non sono previste rate né dilazioni, tutto alla stessa ora. Quello con la pelata lucida occupa il secondo letto. Stringe le mani intorno al respiratore ma con la delicatezza con cui si tiene fermo un bambino, senza stringere troppo ma con mano salda e cementificata in uno sforzo sospeso. Il cigolio delle suole dei lettini in corsia mantiene un ritmo costante, ognuno ha il suo, stessa destinazione ma con orbite diverse. Traiettorie a caso. Quanti mesi d’inferno costa il paradiso?! Il vecchio gracilino si culla sulla schiena, credo sia un pescatore. Ha quasi distaccato gli “-anta” del tutto ed è a un passo dagli “-ento” ma non sembra aver intenzione di mollare la presa. Non c’è tempo per fermarsi a prendere fiato in questa staffetta! Sono le ore 5 e dovrebbe essere lunedì, tengo il conto solo per distrarmi. Sì, ieri era domenica! Mi piacerebbe morire di sabato, è il giorno in cui ho sposato mia moglie! Santa donna, in questo momento starà pulendo i vetri della sala, non tollera gli aloni di umido, ma siamo in estate, piove solo sul suo viso! Mi sento vibrare, spero non mi spostino di sala, sarebbe impegnativo il dover decidere la vita di altri sventurati, dover immaginare altre esistenze da capo! Spero di riuscire a riaprire gli occhi e rivedere il lattoniere, mi auguro di essere ancora qui! Ha le nocche tagliate e ruvide, le unghie scheggiate dalla lamiera temprata. Fatico ad indovinarne l’età, o si porta divinamente bene gli anni che ha vissuto o maledettamente male quelli che ha ancora davanti. Il grano è pronto per la falce ed è ora della mietitura. Sento il rumore delle nuvole appena sveglie che si stirano nel cielo per sgranchirsi la schiena dopo un’altra nottata passata a sopportarci, a cercare di abituare l’udito ai suoni delle ambulanze, a fare entrare nella propria routine la loro sirena in paranoia. Il lettino si è fermato. Aprirò gli occhi tra un po’, ora sono stanco. Matrioske di lattice, guanti su guanti che si accarezzano e si stringono per darsi conforto l’un l’altro, un tripudio di sudore e agitazione. Mia figlia deve essere rimasta a casa da mio padre, non le sarà stato permesso alcuno spostamento. Ora mettono le ganasce anche ai sogni, file e file di speranze in zona rimozione. Meglio per lei, i nonni le vogliono bene, ognuno a suo modo, mio padre è presente, mia madre è un ricordo. Quando se ne era andata per la vecchiaia l’anno scorso, teneva stretta la mano di mia figlia e le regalava l’ultimo sorriso. La dottoressa di terapia intensiva si fa largo con determinazione in mezzo ai lettini, schiva gli altri medici, tanto impreparati alla sua veemenza da sembrare decine di camici lasciati ad aspettare su altrettanti appendiabiti. Deve esserci un caso molto problematico che picchietta le dita sul quadrante dell’orologio. I miei polsi logori e fermi cominciano ad evere veramente fame di ossigeno, ma il lenzuolo è pesante e li costringe proni sul ventre. Siamo in troppi qui, fa troppo caldo. Ho sentito gli infermieri che proponevano di smistarci anche negli hotel vuoti. Ora che ci penso, mi viene in mente che i volontari civili avevano già allestito delle strutture provvisorie per permetterci un po’ più di spazio. Grazie a Dio, eviteremo di sembrare una catasta di ceppi da ardere, uno sull’altro a condividere il poco spazio! Ne sono arrivati altri, sento rumore sulle scale. Il vociare giovane dei volontari ammorbidisce il sapore di questa agonia sofferta. Provo a sorridere ma non voglio dare nell’occhio alla caposala; è già difficile riposare, figurati con lei che ti fa mille domande! Il lettino alla mia destra è occupato da un settantenne che anela palesemente una sigaretta, si guarda intorno circospetto e porta le sue dita gialle alla bocca ad intervalli regolari. Ha la mascherina aderente che gli stropiccia il viso creando un susseguirsi di circonvoluzioni della pelle. Ha gli occhi verdi. Credo che, prima della pensione, facesse il rappresentante per qualche azienda locale, convincerebbe chiunque a restare ad ascoltarlo, con quegli occhi! Le palpebre mi tremano sempre più sensibilmente e faccio fatica a concentrarmi sul suono della mia frequenza cardiaca ma ci provo lo stesso, voglio tenermi monitorato. I miei due nipotini mi avevano salutato lasciandomi due loro disegni che io ho promesso di prendere in prestito per far fare una valutazione da un importante e famosissimo critico d’arte. Lo so, ho mentito: non è poi così famoso e neanche un critico d’arte ma ogni volta che entro nel suo bar mi serve un caffè di ottima qualità per questo lo reputo importante. Hanno 6 e 8 anni e sono uguali alla mamma, come credo tutti gli esseri umani a quell’età. I due lettini alla mia sinistrabsono dedicati al reggere la schiena di due sorelle meridionali che alternano le loro ripetitive lamentele ai piagnistei. L’odore acre che serpenteggia nei corridoi mi ricorda il liquore alla genziana che beveva mio padre quando aveva perso il lavoro ed era entrato a fare parte del fantastico e moderno mondo dei cassaintegrati. Si parla di tanti anni fa e la mia memoria non è mai stato dalla mia parte: ricordo come mi chiamo solo grazie alla cartella clinica ai piedi del letto, per intenderci! Colpa della mia invalidità, dicono, colpa di patologie pregresse. Sta di fatto che continuo a non avere alcun tipo di contatto con il mondo fuori dalla mia testa, la solitudine ha preso in subaffitto la mia pazienza. Il riflesso del mare fatica a farsi spazio tra lo sporco delle finestre socchiuse, lascia al bagliore del sole il ruolo di apripista e si sistema dietro alla sua schiena. Fatico a muovere il diaframma che se ne sta fermo e intorpidito dall’ultima volta che ho riso. Mesi fa. L’infermiera che è entrata in reparto alle 10 cerca di sorridere a tutti i pazienti, i suoi occhi scuri si assottigliano timidi ogni volta che tende le labbra. Cerca di farci star tranquilli, cerca di portare ottimismo. Pettina l’erba nell’occhio del ciclone. Credo che abbia una famiglia ad aspettarla a casa, suppongo abbia figli, è troppo attenta e premurosa perché io possa cambiare idea. Ne sono arrivati altri, sento rumore sulle scale. Una voce graffiata da troppi anni di tabagismo sillaba la necessità di organizzare le sale al piano di sotto. Noi qui siamo al sesto, a una spanna dal cielo. Dalla finestra si riesce a vedere che il parcheggio delle ambulanze si sta riempiendo di camion militari, abbiamo dovuto chiamare addirittura l’esercito per combattere questa battaglia silenziosa! Assurdo... I tubi attaccati alla mia gola cominciano a bruciare, a rosicchiarmi la pelle, a masticarmi la giugulare. O, forse, è solo il caldo che acuisce le sensazioni. Mio suocero lo diceva sempre: se si potesse pagare con la fantasia, potrei banchettare in pace e lasciare le briciole ai Rockefeller! A differenza della parola e della tempistica del dialogo, il pensiero viaggia in picchiata a velocità esorbitanti, sembra ci siano più secondi in un minuto. Un minuto fa sembrava essere ieri, la noia si accanisce sulle sue vittime. Mi spostano, il lettino traballa, rumore di montacarichi. L’aria è più fresca dove sono adesso, mi ero distratto a respirare e non ho capito se siamo scesi o se siamo saliti. Il ciarlare dei dottori neolaureati è un brusio ripetitivo e fastidioso, “accoglilo come se fosse la risacca del mare”, mi suggerirebbero le nuvole. “La sirena delle ambulanze è molto più impegnativa da rendere abitudine”, continuerebbero. Il gusto dei bocchettoni che ho in gola mi ricorda quando io e mia moglie eravamo più giovani: passavamo l’estate in campagna ad addormentarci sotto il cielo terso e pulito, coperti dal profumo del glicine, rannicchiati su un tappeto di erba di campo. Ora sono certo mi stiano sollevando, la pedana del montacarichi è basculante ma non mi sembra il caso di fare storie. Sento il rumore dei camion dell’esercito che fanno manovra e li immagino colmi di ragazzini impreparati e inesperti che si legano le stringhe degli anfibi con le mani tremanti! Ah, non te l’ho detto, io ho 55 anni e tutti quelli sotto i trenta, per me, sono bambini. Sia chiaro, non intendo sminuirne l’importanza, li guardo con una tenerezza paterna! Oramai sarà quasi mezzogiorno e il mio stomaco non smette di ricordarmelo con i suoi brontolii quindi spero che anche qui, dovunque io sia, si possa usufruire del reparto mensa perché non so quanto ancora io possa riuscire a resistere prima di spalancare occhi e bocca e richiedere attenzioni! Sento il rumore di dozzine di moschettoni che si chiudono vicino a me, sembra che vogliano giocare a chi è più rumoroso! A contendersi la mia attenzione, sono ora la fame ed il freddo, credo di essere stato portato su un altro piano. Il rumore delle barelle si fa sempre più soffocato, sempre più tenue, non lo si sente quasi più! Credo di essere in movimento, mi sento instabile, tutto si sposta, il camice mi sfrega addosso...non capisco...rumore di furgone...stringo le palpebre per mettere a fuoco l’immagine che ho davanti: sono confuso, allibito ed incredulo ma allo stesso tempo felice di vederla. Mi avvicino al suo sorriso, le sorrido di rimando e mi rintano tra le sue braccia: “Mi sei mancata, mamma...”.

Specifiche

  • Pagine: 256
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 150*210
  • Isbn: 978-88-31243-22-3
  • Prezzo copertina: 15€

Seguici

ContaTti

Telefono 351 886 28 90

Edizioni del Loggione srl
Sede legale: Via Piave, 60 - 41121 - Modena - Italy
P.Iva e C.F.: 03675550366
Iscrizione Camera Commercio di Modena REA MO-408292


© ItaliaBookFestival è un marchio registrato Edizioni del Loggione srl