Antonio Valva
A TU PER TU

A TU PER TU
Prezzo Fiera 18,50
Prezzo fiera 18,50 Dialogo di un uomo inquieto con la sua anima (vedi video trailer)

La trama ruota attorno alla lunga agonia e al trapasso della madre di Antonio (personaggio della storia), il quale incarna uno spirito inquieto che cerca nel rapporto fisico con numerose donne, perdute e riconquistate, la risposta alla sua sete di infinito. Il sesso però nel romanzo non è mai descritto con espressioni volgari e attese. Antonio incontra tante donne ma, stimolato dal suo alter ego, va continuamente cercando un dopo, un voler andare oltre inseguendo il superamento delle sue continue ansie e delle miserie umane.
Il dialogo alla fine trova una sintesi riconducibile all’attesa di quell’eternità, da tanti negata, che non è la fine di tutto ma l’inizio di una vita nuova senza tempo e senza spazio, dove non c’è posto per i lutti e le lacrime a conferma del "vita mutatur, non tollitur”.

Primo capitolo

1.

 

Incontro con un uomo sconosciuto 

 

Era il mese di luglio di un anno lontano, un magico giorno che capita di rado, o mai, nella vita di un uomo e magari di un’intera popolazione. Era il pomeriggio di un giorno caldo e ventilato con l’aria tersa e stuzzichevole, con il sole che inonda di un’intensa luce spettacolare quanto incontra e che spinge le persone, perfino quelle tristi e svogliate, a uscire fuori per godersi l’astro splendente e la natura e le invoglia a portare allo scoperto tutto quello che hanno dentro: anima, inconscio, coscienza, forza creatrice e qualsiasi altra entità o manifestazione conosciuta e no.

Lui era un uomo giovane, sensibile e forte, alto e magro, dai castani capelli corti, naso lungo e piccoli occhi neri come quelli di un fiero animale indomabile e selvaggio. Era un ‘giovane uomo’, come lo aveva definito la madre quando aveva compiuto i trent’anni per coniugare a suo modo il mutamento del dolce e timido bambino, dai voluminosi capelli biondo oro e dal corpo rotondetto, in un uomo maturo. E così a volte lo chiameremo, o semplicemente ‘il giovane’ o col suo nome, Antonio, voluto dalla madre in onore del santo a cui era devota.

 

Antonio era seduto in riva al mare di un colore blu intenso e dall’orizzonte lontano. Era arrivato in spiaggia qualche ora dopo pranzo e si era seduto sul limitare della battigia immerso nei suoi pensieri quotidiani tenendo la testa piegata a guardare le deboli onde oziose che si frangevano sui sassolini accumulatisi fra la spiaggia e il mare. Ogni tanto lanciava in acqua un sasso estratto dalla sabbia e alzava la testa solo quando una fanciulla aggraziata gli passava davanti e le sue linee sinuose attiravano la sua attenzione.

Improvvisamente, come proveniente dal nulla, un uomo si sedette al suo fianco e si mise a parlare con lui: «Io su questa terra ci sono nato per caso. Ero in viaggio verso un altro pianeta, quando il mio percorso fu deviato e fui catapultato su questa Terra nel grembo di una donna che stava per partorire un figlio maschio. Per farlo vivere fui costretto a entrare in quel corpicino qualche istante prima che venisse alla luce, perché occorreva appagare il desiderio di una donna che aveva diritto alla restituzione di uno dei tanti crediti che aveva con l’universo. Ma il mio soggiorno su questa terra durerà poco tempo ancora, poiché terminerà appena mia madre non ci sarà più. E lei sta per morire! Quando sarà morta l’universo mi verrà a liberare dall’impegno che aveva assunto con lei e mi permetterà di raggiungere, finalmente, il mondo a cui ero stato destinato».

 

Senza che se ne accorgesse, l’uomo gli si era seduto accanto su un asciugamano bianco candido: colore inopportuno per un panno appoggiato su una sabbia in parte bagnata. Probabilmente lo aveva fatto quando Antonio seguiva con lo sguardo due avvincenti fossette poste sul fondoschiena di una seducente ragazza e fino a quando la lontananza non le aveva rese indistinguibili, o forse in coincidenza di una poderosa extrasistole accompagnata da una sensazione di capogiro, o meglio di testa vuota.

Per qualche minuto l’uomo era stato in silenzio a guardare l’acqua e l’orizzonte, e a lanciare anch’egli sassolini sulla cresta delle piccole onde che delicatamente, a intervalli regolari, raggiungevano la riva. Antonio non si era accorto di lui fino a quando non gli aveva rivolto la parola e, cercando di capire cosa volesse dire, con tono di voce inquisitorio che tradiva il suo stupore, disse: «Scusi, cosa ha detto?».

Ma l’uomo, seguendo i suoi pensieri e assorto a trovare le parole giuste con cui esprimersi, non badò all’interruzione e riprese lentamente a parlare: «In attesa che la vita passi, vivo la vita in un tunnel di vetro, sovente con le tende abbassate. Vedo il mondo dall’interno. Lo vedo, ma non lo tocco. A sua volta il mondo non può vedere e toccare me. Nessuno può entrare nel mio io senza che io lo voglia» calcando la voce sul primo io come a marcare decisamente un territorio, e sul secondo come a ribadirne l’autorità.

Poi si fermò un istante alla stregua di chi deve prendere la rincorsa per eseguire una corsa importante e, con voce calma e sicura, proseguì a parlare come un fiume in piena: «Osservo, dall’interno, la gente che passa e mi sembra tutta uguale: non nel volto o nel vestire ma nel comportamento, nel modo di fare. Non si accontenta mai: vuole sempre tutto in cambio di niente. Vede la pagliuzza che dona ma non la trave che riceve, e mi riferisco proprio a quei due evangelici legni che di consueto stanno negli occhi perché rendono bene l’idea delle giuste proporzioni.

È sempre pronta a scusare se stessa e, poiché non può parlare bene di sé, parla male di qualunque persona al mondo e, con aria da saccente, è abile a ribadire che sono gli altri a non capire. Così facendo non si vergognano delle proprie stupidaggini, ma di quelle altrui. In tale modo la vergogna diviene un sentimento sconosciuto, con la conseguenza che gli unici a vergognarsi sono la parola e la vergogna stessa perché la prima non determina più quanto definisce e la seconda perché ha fallito la sua missione.

Gente che vive bene questo mondo e, assolto diligentemente il dovere di divertirsi, sopporta con disinvoltura le contrarietà della vita. Si diverte sempre e ovunque, e per farlo paga tutto, anche quello che potrebbero ottenere per niente. Si diverte perfino quando soffre o è avvenuta una disgrazia. Anzi il male che ne deriva sembra essere la sua unica essenza. Tuttavia dichiara di essere contro il male, di rifuggirne e di starne lontano perché è la rettitudine l’obbiettivo da raggiungere. Peccato che il male sia solo negli altri mentre in sé alberghi unicamente il bene!

Quanti torti sono stati commessi e quanti altri se ne faranno ancora a fine di commettere una buona azione.

Povera Terra così emozionante e bella, ricca di profumi e di odori, avvolta in un manto di aria e ornata da piante e fiori di mille colori; cosparsa da azzurri mari e da montagne austere; disseminata di torrenti tumultuosi, di fiumi sornioni e vivaci cascate, di fossi domestici e anfratti carichi di suggestione e di fascino in un meraviglioso connubio di acqua, roccia e vegetazione. Questa Terra, tanto generosa, meriterebbe la soddisfazione che la vita da essa ospitata fosse pregna di piacere e di gioia. Ma su questo pianeta la gioia scarseggia. Al contrario abbonda la sofferenza causata tanto da futili motivi quanto da scontri violenti. Si combatte per tutto e per niente, anche per ottenere qualcosa che si dovrebbe avere di diritto come una natura incontaminata e il rispetto della vita.

Quanto è stolto l’uomo che non asseconda il creato e le sue meraviglie!».

 

Mentre l’uomo esprime tali concetti, un fanciullo che corre sulla battigia provoca spruzzi ogni volta che il piede pesta l’acqua. Una corona di gocce si sparge nell’aria e alcune bagnano i due. Antonio si ritrae voltandosi istintivamente proteggendosi con le mani, l’uomo invece rimane immobile pure se qualche goccia gli arriva sulla faccia. Senza scomporsi, si asciuga lentamente le guance con il dorso della mano e le lunghe dita. Questo gesto concede al giovane l’occasione di osservarlo con attenzione.

Il suo viso è pallido e i suoi occhi sono pieni di malinconia. È però una malinconia dolce e per niente asprigna, una mestizia garbata di un’anima gentile. Ha un aspetto giovanile e mostra di avere all’incirca la sua stessa età. Ha occhi profondi, naso aquilino e capelli neri come inchiostro di china; la conformazione è di un falso magro, con una pancetta debolmente pronunciata, segno evidente di una vita sedentaria. La sua aria è pensierosa e, mentre parla, si guarda attorno come se aspettasse qualcuno o per semplice curiosità.

L’uomo scruta il giovane come se lo conoscesse da sempre, ma nel contempo lo fissa come se fosse la prima volta. Osserva le cose come chi è abituato a vedere un luogo da una parte e ora lo vede da una posizione opposta. Appare sorpreso e interessato come uno spettatore che ha sempre visto lo spettacolo da dietro le quinte e ora gli capita di stare sul palcoscenico, in prima fila, con gli attori di fronte, intento a osservare i loro gesti e i loro volti, e a godersi le emozioni che trasmette quando è lui, ora, a recitare.

Anche Antonio guarda l’uomo con interesse, perché si sente attratto dalla malia del suo sguardo. Ma si chiede chi mai sia quell’essere e perché con tanta gente nei pressi si sia rivolto a lui per esternare il suo sfogo. Non che ne sia infastidito, tutt’altro, ma come qualsiasi persona al mondo vorrebbe sapere chi ha di fronte e perché viene coinvolto in opinioni che nella sostanza sono anche le sue. Capisce solo che l’uomo sente un gran bisogno di mostrare quanto ha dentro, forse perché è solo o unicamente perché è un essere riservato, perciò si dispone ad ascoltare con condiscendenza e interesse ciò che ha da dire.

E l’uomo prontamente riprese il suo monologo: «Evidentemente agli uomini piace vivere così in quest’angolo dell’universo. Hanno una corazza esterna molto spessa, ma quella interna è sottile perché credono che il male non possa mai penetrare la loro anima. Anche lo strato che mi protegge è sottile e, perché non venga permeato dal male delle offese che subisco, vivo in un rifugio di vetro. A volte esco perché mi pare di intravedere qualcuno che mi assomigli. Vado fuori per incontrarlo, aiutarlo e rompere la nostra comune solitudine, ma anche per osservarlo, ascoltarlo e studiarlo da vicino. Lo faccio perché voglio essere certo che anch’egli abbia subito la mia stessa sorte: vale a dire che sia nato per caso su questo mondo. Prima di intraprendere un rapporto stringente e iniziare a fidarmi di lui, in apparenza mi apro, ma di fatto mi apro solo a metà. Tuttavia ogni giorno che passa ci sembra di trovarci a casa nostra, ed è una sensazione meravigliosa!».

L’uomo fece una breve pausa, poi riprese il suo dire cambiando però il pronome dal maschile al femminile, pur riferendosi alla stessa persona: «Lei dice che solo con me si trova bene, che io sono l’unico uomo al mondo di cui può fidarsi e che non c’è nessun altro con il quale parlare liberamente e sentirsi compresa e coccolata. Tale condizione ci rallegra e ci permette di vivere assieme liberi e disponibili in una nostra nuova dimensione».

Il cambio di genere del pronome creò disorientamento nel giovane il quale, con il corrugamento della fronte, manifestò il suo senso di confusione. L’uomo se ne accorse e subito puntualizzò: «Stai tranquillo! ‘lui’ rappresenta un essere umano nel suo genere, ‘lei’ una fanciulla in particolare. Mia madre aveva già due figlie femmine e desiderava ardentemente un figlio maschio. E l’universo l’ha accontentata! Nel prosieguo perciò abbandonerò il ‘lui’ per adoperare il ‘lei’. Oltretutto, per un maschio, più intensi sono i piaceri e più profondi e laceranti sono le ferite inflitte da una ‘lei’».

Dopo questo chiarimento Antonio sorrise e l’uomo riprese il discorso dal punto in cui l’aveva interrotto: «Ebbene ci capiamo! Quando tutti i dubbi sono svaniti, abbandono il mio atteggiamento difensivo e la pongo al mio fianco.

Lei è diversa, perciò può entrare nel mio mondo.

Quindi abbandono il mio rifugio ed esco per restare insieme a lei. Assieme definiamo un territorio comune, un luogo dove tutto è dedizione. Un posto incantato dove scorre acqua trasparente e cristallina, dove il cielo è terso e gli spazi sono sconfinati, dove l’erba è fresca e i frutti saporiti, e dove il vento è una piacevole brezza che aleggia sul campo della verità».

Presuntuoso, pensò Antonio, e con la mente o con gli occhi avrà trasmesso all’altro il suo commento perché questi si affrettò a puntualizzare: «Non prenderla come atto di presunzione! Nel mio dire c’è sì un po’ di enfasi, ma è dovuta a un sano senso di vanità. Nella sostanza, credimi, le cose stanno veramente in questo modo».

Dopo tale ulteriore precisazione, non senza provocare una certa sorpresa nel giovane per la coincidenza di un suo commento e l’immediata spiegazione, l’uomo riprese indisturbato il suo monologo: «Parliamo di tutto e cediamo al fascino delle nobili parole: “meno male che ci sei tu - quando mi sento smarrita ti chiamo e ritrovo me stessa - è una fortuna averti incontrato!”. Frasi così costano poco e si sprecano al mercato delle belle parole.

Viviamo giorni felici, teneri attimi di intimità e fulgenti momenti di amore. Viviamo l’eternità! Tutto risplende davanti a noi e tutto ci appaga. Siamo disposti a sopportare ciò che ci infastidisce e a tollerare coloro che non ci capiscono.

Insieme formiamo un baluardo, una pietra preziosa, una roccia dura. È come se fossimo all’interno di un puro diamante, impenetrabile ai più!

Una vera gioia sgorga all’interno dei nostri cuori e, a volte, abbiamo la percezione di cullarci su un’amaca allacciata a una candida nuvola in un cielo turchino con al disotto prati verdi, montagne brune, cime imbiancate, piccole città, piccoli uomini affaccendati che non ci interessano più. Respiriamo un’atmosfera soave, angelica, divina, lontano dal mondo chiacchierone che di solito ruota intorno a noi. Lì in alto ci sentiamo amati per quello che siamo, e la follia s’insinua dentro di noi».

Inaspettatamente, la voce dell’uomo si ruppe e il tono prese la via della melanconia. Senza alcun preavviso i suoi occhi divennero tristi, così come senza preavviso una preda viene catturata da un falco silente e un malcapitato è folgorato da un fulmine a ciel sereno. Con un lievissimo sussulto del corpo, l’uomo rientrò dagli strati d’aria leggera idealmente raggiunti per mezzo del calore delle parole appena declamate, alla stregua di una mongolfiera che ricade ondeggiante sulla terra perché l’involucro è stato bruciato da quella stessa fiamma che l’aveva innalzata.

 

Perché tale sconforto? Quale pensiero all’improvviso ha turbato costui? In un giorno in cui un leggiadro venticello trasforma i raggi possenti del sole in tenere carezze, un uomo dovrebbe accantonare la tristezza e abbracciare la gioia. In una giornata così splendida la malinconia non ha senso, pertanto, a maggior ragione, Antonio vorrebbe portargli conforto. Ma cosa dire: ‘stai tranquillo ché dal male uscirà certamente il bene?’.

Ritiene il pensiero scontato e se ne astiene. A che serve proferire parole inutili se non si conosce a fondo il problema? Locuzioni sbagliate o inopportune, invece che alleviare, potrebbero inasprire maggiormente e fare più male che bene.

L’uomo, di rimando, come a conclusione di una propria riflessione, dice: «Comunque dal letame nasce sempre un fiore!».

Il giovane rimane sorpreso da tale concetto, equivalente a quanto intendeva esprimere, e guarda con sospetto l’uomo stringendo gli occhi e abbassando le sopracciglia.

Passò qualche secondo prima che il giovane riprendesse il suo pensiero: non era più semplice chiedere le ragioni di un cattivo umore piuttosto che fare congetture? Era sicuro che si trattava di pene d’amore, ma non capiva se lo stato d’animo derivasse dalla morte di lei o dell’amore che regnava nel suo cuore. E ancora una volta, l’altro, senza essere interrogato, ruppe il silenzio e con un amaro sorriso disse: «Il mio amore è stato rapito dalla scia di una cometa. È ora a cavallo di una palla di ghiaccio e percorre i freddi spazi bui fra le stelle»

«Come fa a conoscere questi versi?» chiese Antonio, di rimando, con grande sorpresa. Erano versi da lui composti in un lontano passato alla fine di un amore travolgente e travagliato quando, dopo aver dato materia e forma al suo sentimento interiore, lo aveva visto volare verso una cometa che in quel tempo transitava vicino alla Terra. I versi li aveva declamati in un incontro fra amici, ma in quell’incontro l’uomo non era fra loro. Forse erano stati trascritti e poi divulgati? Ma non aveva autorizzato nessuno. O, forse, gli erano stati riportati da qualcuno che conosceva entrambi?

Mentre cercava freneticamente la risposta, l’uomo intervenne: «Io so quanto tu fai, e più di quanto tu sappia e creda!» «Ah!» disse Antonio, senza riflettere e sempre più sorpreso. Ora, giustamente, voleva sapere. Stava per imbastire un discorso quando fu distolto da una scena singolare e da un dilettevole dialogo fra una madre e una figlia.

 

Con il busto dritto e il resto del corpo immerso nell’acqua, esce lentamente dal mare una signora bella come una sirena. Ha un candido volto rotondo, belle mani e un seno ben proporzionato che si raccorda al petto con un dolce e seducente declivio. La bimba alla sua destra, saltellando sui deboli flutti, esce dall’acqua più in fretta e per un istante le due appaiono della stessa altezza. Sembra che la donna sia incappata in una fossa presente ai bordi della riva. Ma pur avanzando la figura della madre non cresce, e non è cresciuta nemmeno più di tanto quando è uscita dalle acque.

Vengono fuori all’ora in cui il sole si avvicina all’orizzonte, pronto per tuffarsi nel mare dove trascorrerà tutta la notte. La bimba si volta a guardare, cogliendo il momento topico dell’astro e prontamente chiede: «Mamma, perché il sole va sempre a dormire da una parte e poi si risveglia dall’altra?», e fa il segno dell’arco con la mano.

La madre prontamente risponde: «Perché va a svegliare altra gente che sta dall’altra parte del mondo», e non dice quanto ha pensato il nostro uomo: “perché va a rischiarare scenari di guerra, di morti, di ingiustizia e di schiavitù” poiché la bimba, come nelle fiabe, vorrebbe che gli uomini fossero buoni e le storie avessero tutte un lieto fine. Né dice quello che ha pensato il giovane: “perché il mondo è rotondo e non piatto” poiché alla bimba non importa sapere se è l’uno o l’altro. A lei interessa solo giocare, apprendere le cose belle e stare bene in famiglia con la madre e col padre.

La bambina chiede ancora: «In un’altra stanza, come a casa nostra?» «Sì, come a casa nostra» conferma la donna. «E perché non ritorna dalla parte da cui è entrato?» «Perché gli è più comodo fare il giro» «O forse perché non sa tornare a marcia indietro, come io col triciclo?».

La madre sorridendo risponde: «Più o meno!» «E perché ci impiega tanto per tornare indietro?» «Perché il sole dovrà far giocare gli altri bambini che stanno nella stanza, così come ha fatto con te in questo giorno» «Ah!» risponde la bambina, forse pensando alla differenza di tempo fra il giorno e la notte, che in quel momento è a suo favore. E si guarda bene dal farlo notare per paura che il sole ci ripensi e, con chissà quale inopportuna magia, messa in atto da una fata dispettosa, aumenti a suo discapito il periodo di luce dall’altra parte.

La madre puntualizza: «Comunque quando sarai più grande capirai» «E quando diventerò grande?» «Quando avrai mangiato tanto!» «Mamma ho fame» incalza la figlia andando di corsa sotto l’ombrellone per asciugarsi.

Ecco la smania di crescere. Ecco l’atavico errore di non saper vivere il tempo che corre. Ecco l’ansia di divenire grandi per sapere e per fare e, al momento giusto, ritrovarsi con la nostalgia di voler tornare indietro per poter cambiare. È la storia che si ripete ed è per questo, forse, per non alimentare ansie e illusioni, che saggiamente la madre non ha detto alla figlia: sì, amore, adesso andiamo a cena.

 

Distratto da questo evento e dai commenti fatti o colti nell’aria, Antonio perse l’attimo per porre le domande sul conto dell’uomo. Questi, come se il tempo stesso lo incalzasse, si alzò di scatto e si accinse ad andare. Si comportava come se si fosse fermato più di quanto gli fosse consentito in quel giorno, alla stregua di un bimbo che si è recato al mare per la prima volta e, per la sua pelle delicata, deve prendere il sole senza esagerare.

Fu così che l’uomo andò via dopo aver promesso di finire il suo racconto un’altra volta.  «Quando?» chiese il giovane. «Domani. Qui. Alla stessa ora» e dopo un po’ puntualizzò: «Se mi sarà ancora concesso».

Mentre si allontanava, l’uomo rimirava incantato l’azzurro cielo e il sole che inondava di rosso un mare blu, osservando con circospezione la gente che tornava a casa e quella che ancora restava sulla spiaggia. Andò via sotto l’occhio attento del giovane il quale solo ora si accorgeva del suo costume a tinta unita di un monotono color mattone. Lo seguì con lo sguardo fino a quando, con la stessa rapidità con la quale era apparso, scomparve dietro una barca in secca, a due passi dal mare, alla quale erano appoggiati tre uomini alti intenti a parlare fra loro.

Osservare la differenza di altezza fra le tre persone e l’uomo, provocò al giovane un giramento di testa, della cui cosa rimase stupito. Come poteva una futile visione provocargli il capogiro un’altra volta? Forse era stata la rapidità con la quale l’uomo era scomparso dietro l’imbarcazione? Ma neanche questa ipotesi era corretta. Probabilmente era più sensato ritenere che le cause più accreditate fossero quelle di aver mangiato poco all’ora di pranzo e di essere stato troppo tempo al sole senza cappello e senza protezione. Però due capogiri in una stessa giornata, e in tempi ravvicinati, erano veramente troppi. Lui non ne aveva mai sofferto, perciò pensò che il giorno dopo dovesse andare da un medico per una visita accurata.

 

Antonio rimase sulla spiaggia per riordinare i suoi pensieri e per cercare di capire l’uomo, il suo dire, il suo fare e soprattutto il nesso esistente fra l’episodio della madre con la bimba e il suo rapido allontanamento. Tutto lasciava credere che la scena avesse avuto il compito di distoglierlo dal porre domande e di dare all’uomo l’opportunità di allontanarsi senza dare spiegazioni. L’istinto dava questa interpretazione, ma la ragione poneva dubbi. A chi credere? L’eterno dilemma che lo affliggeva.

E qui non era facile scegliere, perché nell’aria aleggiava un alone di mistero del quale in maniera considerevole era ammantato l’uomo stesso. La medesima primitiva e bizzarra sua affermazione di essere stato distolto dal raggiungere un altro mondo per nascere in questo, dimostrava la consapevolezza di custodire un immenso segreto. E forse aveva anche grandi poteri, tra i quali la capacità di provocare eventi considerevoli? Se così fosse, allora aveva ragione l’istinto.

Di rimando, la ragione suggeriva che l’uomo, a causa di grandi errori commessi nel passato, con quell’espressione colorita voleva solo manifestare il desiderio di cambiare il corso della vita. Ma anche questa ipotesi aveva qualche punto a sfavore, per esempio che l’uomo gli era apparso savio e lucido di mente, pertanto doveva saper bene che era solo una chimera, e non poteva aver costruito tutto il suo racconto avendo per base questa astruseria.

Frastornato da dubbi e da tanti interrogativi, si alzò, si rivestì, e se ne andò volgendo le spalle al rosso sole che si immergeva nelle acque vermiglie del mare. Rosso e bello il sole per un seducente fenomeno della natura, ma pareva che lo fosse per la vergogna di non aver saputo illuminare le menti oscure dei malvagi della terra nemmeno in tale giorno.

«Bisogna andare oltre questo mondo per trovare ancora qualcuno che si vergogni!» commentò Antonio con la stessa voce e lo stesso tono con cui l’avrebbe fatto l’uomo, e ne sorrise. Diventò più serio quando si ricordò che l’altro aveva affermato: “Io so quanto tu fai, e più di quanto tu sappia e creda”. E fu assalito da gravi pensieri.

Con lo sguardo a terra, si diresse verso casa chiedendosi, non senza preoccupazione, chi fosse quell’uomo e cosa volesse da lui. 

Specifiche

  • Pagine: 334
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: cm 14 x 22
  • Isbn: 978-88-7549-857-3
  • Prezzo copertina: 18,50

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