Alfonso - Amoretti - Ranise
Destinazione Ravensbrück

Destinazione Ravensbrück
Prezzo Fiera 14,00
Prezzo fiera 14,00 L'orrore e la bellezza nel lager delle donne

Alcune erano bambine, partite sole o con l’intera famiglia, altre ragazze di vent’anni, madri di famiglia oppure già anziane.
Sui treni che le portavano al campo di concentramento di Ravensbrück il lager delle donne, a nord di Berlino, finirono detenute politiche, prostitute, o appartenenti a famiglie ebraiche. Reiette da isolare, da eliminare, per il regime nazista.
Mille tra le italiane deportate, di ogni età, non tornarono mai: tra loro anche alcune passate per un piccolo e quasi dimenticato centro di detenzione nell’estremo ponente ligure, a Vallecrosia, simbolo del desiderio di rimozione.

 La storia di queste donne, ragazze e bambine, i ricordi, la capacità che ebbero molte di loro, nonostante la tragedia che stavano vivendo, di ritrovare un affetto, un gesto, un sorriso, si affiancano ai momenti più cupi vissuti nel lager e, per le sopravvissute, riportati nella vita vissuta a partire dal loro ritorno.

A 75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, un libro che ripercorre testimonianze, fatti e luoghi attraverso la tessitura della memoria di queste donne, la disumanità che hanno dovuto affrontare e il male che ha attraversato l’Europa, monito per allontanare ogni vento di inaccettabili revanscismi.

Primo capitolo

Non c’erano rose a Ravensbrück nell’estate del 1944, quando Gabriella Perera, dodici anni, arrivò al lager nascosto tra i boschi, 80 chilometri a nord di Berlino, insieme con la mamma Raimonda Devaux e la sorella ventenne Mirella, portate via a febbraio, dalla loro casa di Bordighera, dai repubblichini.

Erano partite da Vallecrosia, estremo ponente ligure: un piccolo campo di raccolta della Rsi – praticamente dimenticato o più facilmente una memoria rimossa, com’è accaduto a decine e decine di altri in Italia – un edificio austero a neanche quindici chilometri dal confine francese che avrebbe significato la salvezza e la libertà, per lei come per le altre donne ebree recluse. Una ex caserma diventata prigione per gli ebrei e i detenuti politici ma anche per i militari che si erano rifiutati di aderire alla Repubblica sociale, insieme con le famiglie dei partigiani e dei giovani renitenti al bando di Badoglio.

Gabriella, che riuscì a tornare, dopo aver trascorso un anno tra Ravensbrück e Bergen Belsen, e a vivere la sua vita a Genova, raccontava cinquant’anni dopo il suo disorientamento ma anche l’amarezza e la rassegnazione: nella sua famiglia, come in molte altre, si sapeva quale futuro fosse destinato agli ebrei; la speranza di sopravvivere, o anche solo di non vivere al peggio quei mesi, era affidata all’incontro con poche, singole persone, e ai loro comportamenti.

I tedeschi mi hanno tolto tutto e, inoltre, mi hanno umiliata con l’intenzione di disumanizzarmi; però nella cattiva sorte sono stata fortunata. Infatti, una kapò mi aveva offerto un po’ del suo spazio in un letto che era molto meglio del mio.

L’orrore che ha affrontato, invece, Gabriella non lo racconta. Nella sua testimonianza, davanti ai ragazzi di una scuola media, dice di aver assistito a episodi tragici e di averli anche subiti «ma non posso descriverli perché siete troppo piccoli». Testimonia invece Dora Venezia, giunta diciottenne al campo:

A Ravensbrück ci fecero stare circa un mese. Era un campo terribile; c’erano dei laboratori sotterranei nei quali venivano fatti esperimenti su di noi, ci usavano come cavie umane. Costringevano anche noi a fare esperimenti sulle altre nostre compagne: a me, un giorno, ordinarono di fare un’iniezione di pus a una ragazza ungherese… ero scandalizzata, tra l’altro non sapevo da che parte iniziare a fare un’iniezione. Non ho più saputo che fine abbia fatto quella poveretta.

Specifiche

  • Pagine: 144
  • Anno Pubblicazione: 2020
  • Formato: 13 x 21
  • Isbn: 9788899332419
  • Prezzo copertina: 16,00

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