Massimo Rastelli
Il genio Capicchioni

Il genio Capicchioni
Prezzo Fiera 18,00
Prezzo fiera 18,00 Grande maestro meraviglioso artista

"Non ho mai visto uno strumento
contemporaneo come il Vostro
che può eguagliare le qualità
suono ed apparenza"

Yehudi Menhuin

 

 

Il tutto iniziò quando il giovane Marino Capicchioni si mise in testa di voler costruire un violino. Qualche anno dopo a Cremona, era il 1937, venne premiato al Concorso per il bicentenario della morte di Antonio Stradivari. Suo nipote Italo, da allievo di clarinetto della banda militare arrivò ad esibirsi nei più importanti teatri del mondo. Alfeo invece accompagnava alla fisarmonica Edit Piaf nei teatri parigini. Passione politica, emigrazione, miseria e riscatto tramite la musica. Vicende di persone umili, genuine, sanguigne e geniali.

“I violini alla luce della finestra, uno accanto all’altro.  Quello appena suonato ha l’etichetta  Marinus Capicchionis et Filius, è stato costruito nel 1973. La vernice ricopre il legno, morbida e calda, ricorda l’ambra e il miele. I bordi dello strumento sfumati, la sua caratteristica. Nei pensieri le note appena suonate, il Capriccio di Johann Sebastian Bach. Il pezzo lo dedica a lui, a Marino Capicchioni, il grande liutaio di Santa Mustiola”.

 

L’Autore

Massimo Rastelli nato nel 1958 a San Marino, scrittore. Ha pubblicato “Siti. Luoghi fisici, mentali, virtuali”, (2004). Autore della pièce teatrale “Panen” sulle vicende della II Guerra Mondiale (2015, Bradipoteatar).  Autore del soggetto e dei testi del documentario “Il genio Capicchioni” con la regia di Antonio Prenna (2017, San Marino RTV).

 

Primo capitolo

2016 Il violino di Aldo

 

Il polso libero, le corde tese, le dita precise. La vibrazione tocca il fondo dello strumento, esce dalle effe, si apre in aria. Sente le note sulla guancia, socchiude gli occhi, le labbra contratte. Preme l’archetto e fa vibrare con forza il violino, le mani si muovono autonome.  La camicia bianca slacciata, il polsino vola seguendo i movimenti della mano. Suono libero da ogni tensione, espressione pura del corpo. Non c’è sforzo, lo spartito è parte impressa nella mente, è musica assimilata, affiora da sola. È atto fisico, non c’è la fatica di pensare, solo lo sciogliersi dei gesti in modo naturale. Si ascolta, la voce del violino diventa la sua voce.

L’aria entra dalla finestra socchiusa. Movimenti di braccia e di mani estraggono la musica dal legno. Il suono passa sulle cose e le muta. Il tavolo prende la forma di una vecchia madia, sua nonna Olga la teneva in cucina, sopra ci faceva le tagliatelle a mano e ci tritava le erbe selvatiche. Le finestre vibrano, i vetri sottili di un tempo andavano in mille pezzi quando li colpivano col pallone. Sente le grida di loro ragazzini mentre giocano in strada. Il calcio fa volare la palla sino alla porta del bar. Dalla strada rumori di motorini e vespe. L’armonia lo porta indietro, agli anni ’70, quando era bambino. Insegue pensieri e volti nei ricordi. Immagina lo stupore delle persone anziane che guardavano loro, giovani attori di un mondo futuro, inimmaginabile e sorprendente. Oggi anche le immagini di quel tempo sono ingiallite, se ne rende conto solo ora, mentre le sfoglia nella mente.

I violini alla luce della finestra, uno accanto all’altro.  Quello appena suonato ha l’etichetta  Marinus Capicchionis et Filius, è stato costruito nel 1972. La vernice ricopre il legno, morbida e calda, ricorda l’ambra e il miele. I bordi dello strumento sfumati, la sua caratteristica. Nei pensieri le note appena suonate, la Sarabanda in re minore di Johann Sebastian Bach. Il pezzo lo dedica a lui, a Marino Capicchioni, il grande liutaio di Santa Mustiola. Vibra ancora per la presenza emotiva che si è ritrovata in corpo. Prova una grande soddisfazione, ha in mano il violino costruito dal fratello di suo nonno Stoppa. L’altro violino è sempre un Capicchioni ma fabbricato da Mario, figlio di Marino nel 1979.

Si siede, l’esecuzione gli ha tolto energia. Oggi hanno tenuto il concerto a Palazzo Graziani, l’edificio nobiliare sullo Stradone. Attorno a loro le fotografie scattate dal professor Bernardino Graziani, la mostra è dedicata al suo lavoro di fotografo. Le immagini in bianco e nero fanno rivivere un mondo antico di persone eleganti e sobrie. La città di San Marino appare come un borgo dalle contrade austere, negli interni dei palazzi si vedono quadri, affreschi e mobili antichi. Era quello l’ambiente che Marino aveva davanti ai suoi occhi nei primi decenni del ‘900. Sulle tavole della mostra si legge dell’amicizia che legava i due uomini. Marino Capicchioni liutaio e Bernardino Graziani, medico, chimico e musicista. Marino ha costruito il suo primo violino dopo l’esperienza fatta nell’aggiustare il violoncello del professore. L’amico era un valido violoncellista, aveva avuto tra le mani il suo strumento e attraverso lui aveva conosciuto altri musicisti.

Marino Capicchioni era il fratello di suo nonno. Ora il nome del nonno, Aldo, lo porta lui. Tutti però lo chiamavano Stoppa, anche sua nonna lo chiamava così. Di Marino, il liutaio, ricorda appena la faccia, il viso rotondo e le bretelle sopra la camicia sbottonata. Era un ottantenne e lui un bambino magro e spiritato. Aldo con i genitori e suo fratello maggiore, Marco, è stato alla casa del liutaio Marino Capicchioni a Rimini, era la metà degli anni ’70. I ricordi si fermano alla figura di un uomo molto anziano e alla fila degli strumenti appesi come frutti a maturare. Gli è rimasta in mente l’espressione i violini bianchi, quelli allo stato grezzo ancora da verniciare. Si sarebbero schiusi per effetto naturale, come larve. Dalla muta sarebbe apparso lo strumento perfetto, già di suono maturo.

Marino assomigliava ai vecchi di Santa Mustiola, le guance cadenti, la faccia segnata dagli anni. Lo sguardo aveva la sfumatura profonda dell’uomo che aveva vissuto una vita appassionata. Ricorda la sensazione di avere di fronte una persona semplice animata da una furbizia buona. Nient’altro. I suoi occhi di bambino potevano cogliere solo la parte superficiale di quel volto. Aveva dato alla bottega un’occhiata veloce, gli era sembrata simile al negozio di un sarto, le sagome e gli attrezzi appesi alla parete e sparsi sul banco da lavoro. L’odore del legno era delicato, in sottofondo.

«Portali a fare una partita di pallone sulla sabbia» aveva detto l’anziano liutaio al loro babbo.

Era quello infatti il loro desiderio, calciare la palla con i piedi che affondavano nell’arenile, sentire il tranello lieve della sabbia che frenava la loro foga. Il pallone di plastica leggera non sfondava l’aria, prendeva traiettorie sue, rallentato dal suo peso insufficiente a trasmettere la potenza del calcio. Si sentiva uno schiocco simile ad un lamento e la sfera volava in mezzo agli ombrelloni. La sabbia fine faceva bruciare gli occhi e si attaccava alle braccia sudate. Potesse tornare a quei momenti si fermerebbe a guardare le mani di Marino, per comprendere l’abilità sapiente che le guidava. Vorrebbe sapere di più ora di quel suo anziano parente. Svelare il miracolo che si compiva in quella bottega. Capire come anonimi pezzi di abete e acero si trasformassero nei violini, nelle viole e nei violoncelli Capicchioni.

Aldo scende in strada, le auto sono parcheggiate sul piazzale. Quando era bambino al posto dell’asfalto c’era l’orto. Giocavano in mezzo all’incrocio, il pensiero ora gli fa venire i brividi. Auto scendono veloci lungo la discesa. Cosa è rimasto dei tempi lontani di quando era bambino? E della Santa Mustiola delle feste da ballo del dopoguerra?  La casa di Ferdinando Capicchioni è ancora lì, l’antica osteria gestita dalla nonna Olga e dal nonno Stoppa è ora un bar, punto di incontro per pensionati, ragazzi e gente di passaggio. Aldo entra, poster colorati sulle pareti, vapori dalla macchina per il caffè. Non c’è più nessun appiglio per la sua memoria. Gira il cucchiaino nella tazzina, si gusta il profumo del caffè.

«Come va? Le prove sono terminate?» chiede il barista.

«Noi musicisti siamo degli atleti, ci dobbiamo allenare tutti i giorni».

«Sentivo il suono del violino dalla finestra».

Aldo guarda il suo viso allo specchio dietro alle bottiglie di liquore. Gli piace la sua faccia da cinquantenne, gli piace perché lui si sente più mite di quella sua faccia spigolosa e dura. Allora ci gioca con quelle sue espressioni da boxeur.

«Giulio, dove c’era la cantina, cosa c’è adesso?»

«Il magazzino, un po’ di attrezzi, il banco da lavoro».

«Posso dare un’occhiata?»

«Certo, non c’è problema, c’è tanta roba in mezzo, non fare caso al disordine».

«Ci andavo con mio nonna Olga, mi piacerebbe rivedere quello scantinato».

«Vai pure, stai attento, ci sono i gradini umidi. Maria li ha appena lavati».

La scala è stretta, di graniglia grigia e rosata. I muri sono irregolari, la pittura è ingiallita. L’odore ha una punta di umido e di polvere. Rivede lo sguardo della nonna Olga, i capelli raccolti, le labbra carnose, le stesse di suo padre Italo, dello zio Ezio e della zia Silva. Ricorda la voce dell’anziana donna, un po’ roca, quel tono basso gli fa venire in mente i suoi famigliari. Ricorda le parole di affetto, le premure ed anche i rimproveri per i guai che faceva. Sulle mura è rimasto un po’ del rigido dell’inverno, le finestre lasciano passare gli spifferi. Un giorno era con la nonna Olga, era un bambino, là sotto lei preparava la conserva di pomodoro. La donna è tornata visibile, la intravede tra i vapori della pentola in cui bollono i barattoli di vetro, sente l’odore aspro e dolce della passata di pomodoro. Il bollore fa sbattere i vasetti uno contro l’altro, ci metteva uno straccio in mezzo perché il vetro non si rompesse. Il coperchio di alluminio leggero traballava sul fornello a gas. Come in un filmino sbiadito in super8 vede i suoi piedi in un paio di sandali da bambino e le ginocchia che escono dai calzoncini corti. La nonna stende gli strofinacci e ci mette sopra i barattoli rovesciati. Gli tornano alla mente anche le voci dei giocatori di briscola: Tugnin, Marnetta, Gudanzoun e i rumori del bar a quel tempo, le tazzine del caffè, l’urto delle palle da bigliardo, i colpi della pallina del calciobalilla. Risale i gradini, sul pianerottolo c’è una passaggio di servizio che dà sul negozio di alimentari dove prima c’era la sala da ballo. Lui non l’ha mai vista, ne ha solo sentito parlare. Prova ad immaginare come doveva essere quel dancing, apre la porta e si trova davanti confezioni di pasta, scatolette di tonno e conserve di verdure sott’olio.

Una volta fuori allunga lo sguardo all’altra casa, quella di Berardo Capicchioni. L’edificio di inizio novecento non c’è più, è stato demolito. La villetta che è stata costruita al suo posto è una costruzione in mattoni con portici ampi, davanti ci sono cespugli di rose. I fratelli Capicchioni, Ferdinando l’oste e Berardo il costruttore di botti più rinomato di San Marino erano suoi antenati. Berardo era suo bisnonno. Dalle case costruite a cavallo del ‘900 parte la storia della sua famiglia. Aldo vede arrivare una vespa, ne aveva una simile anche lui da ragazzo, sente il brontolio meccanico del motore e l’odore di benzina.


 

Specifiche

  • Pagine: 320
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: 122x188
  • Isbn: 88-6086-162-7
  • Prezzo copertina: 18,00

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