Nuccio Franco
Il mio nome è Jamal

Il mio nome è Jamal
Prezzo Fiera 15,00
Prezzo fiera 15,00

Jamal spende la propria giovinezza appoggiando una cultura dell'odio e dell'intolleranza, fatta di attentati, spionaggio e sotterfugi che si susseguono senza sosta. Una storia coinvolgente, una narrazione realistica e cruda, di grande attualità, che rapisce l'attenzione del lettore e fa vivere le vicende del protagonista e i travagli della sua coscienza, tesa verso la ricerca di una religiosità più umana e accogliente. Dal Libano alla Francia, Jamal sperimenta sulla propria pelle le contraddizioni di un'elite che, al fine di perseguire i propri interessi personali, spinge giovani mussulmani come lui a spargere sangue nel nome di Allah.

Primo capitolo

Una forte esplosione si udì in lontananza turbando l’apparente normalità dello scorrere quotidiano in quella torrida giornata di inizio estate. Forte come un tuono, devastante come un terremoto. L’onda d’urto fu violentissima. Vetri infranti, crepe nei muri, finestre divelte. Per un attimo un senso di opacizzazione si impossessò di tutto. Le cose sembravano fluttuare nell’aria, la gente rimase annichilita. Presto, alte colonne di fumo si alzarono al cielo che divenne grigio come prima di un violento temporale mentre cominciarono ad udirsi le prime sirene. Nell’aria si respirava un odore acre tipico del Semtex, un esplosivo devastante. Dopo un primo momento di smarrimento, fu subito chiaro a tutti cosa fosse accaduto; a poche centinaia di metri era esplosa una bomba dall’alto potenziale. Il Libano, Beirut erano definitivamente stati trascinati in una sanguinosa guerra civile. Campo di battaglia dove croce e mezza luna se ne contendevano i brandelli come sciacalli, la morte, il lutto e la disperazione sarebbero stati una costante. Le donne scesero in strada; tra le braccia bambini impauriti. Gli uomini si radunarono in un capannello rivolgendosi parole concitate. Un attimo dopo corsero verso il luogo dell’attentato. La notizia dell’accaduto si diffuse velocemente attraverso il tam tam della gente ed i notiziari. Jamal spense la radio, inforcò la sua inseparabile bicicletta e corse più forte che poté verso il luogo dell’accaduto. Arrivato sul posto, gli si parò davanti agli occhi una scena apocalittica. Gettò a terra la bici e si soffermò incredulo ad osservare. Dopo qualche attimo, cominciò lentamente a camminare in mezzo alla coltre di fumo e polvere che sembrava nebbia, riuscendo a stento a vedere il via vai dei primi soccorritori. Terrorizzato, le gambe quasi non lo sorreggevano mentre con un fazzoletto davanti alla bocca, incedeva lentamente sfiorando cadaveri e feriti, incapace di comprendere tanta ferocia. Si guardava attorno come in una terribile trance quando intravide in mezzo ai focolai ancora accesi una voragine dalle dimensioni impressionanti. I palazzi che fiancheggiavano la strada, ridotti a sinistri scheletri. Sangue, lamenti, urla di uomini e donne riversi sui corpi che alzavano gli occhi al cielo disperati invocando Allah, facevano da corollario a quella scena surreale. Continuò a camminare lento quando intravide poco lontano un fagotto. Probabilmente un bambino avvolto in una coperta. Ne ebbe la certezza quando udì il suo pianto. Si avvicinò piano, si inginocchiò e fece per voltarlo quando sentì il freddo di una mano sulla spalla. Si voltò. Una donna fasciata nel suo niqab lo guardò fisso negli occhi. Scostò il velo che le copriva il volto. Era molto anziana, la pelle raggrinzita dagli anni, una bocca con pochi denti che emanava un lezzo insopportabile ed una cicatrice profonda sulla guancia. Occhi di ghiaccio che incutevano timore. Non sembrava particolarmente colpita da quanto accaduto. “Come ti chiami?”, gli chiese. “Il mio nome è Jamal”, rispose lui. “Il tuo compito sarà vendicare tutto questo, proteggere il tuo popolo dai miscredenti, combattere fino alla fine dei tuoi giorni chi ha versato il sangue dei tuoi fratelli. La tua fede ti sosterrà. Sei pronto?” Intimorito da quella scena Jamal chiese alla donna chi fosse e cosa significassero quelle parole. “Non importa chi io sia. Il Supremo ti ha affidato un grande compito. Saprai portarlo a termine?”, fece la donna ricoprendosi il volto con il velo. Si girò e andò via. Jamal cercò di trattenerla per un lembo del vestito senza successo. La seguì con lo sguardo fin quando scomparve nel nulla. Ancora turbato da quelle parole, quasi distrattamente voltò su di un fianco quel piccolo fagotto, si girò e la scena che gli si presentò fu incredibile: quel bambino aveva il suo stesso volto. In preda al panico indietreggiò strisciando a terra aiutandosi con il palmo delle mani ed i talloni. Una volta in piedi cominciò a correre senza una meta purché lontano da lì. Si svegliò con un sussulto ed in men che non si dica fu al centro del letto. La fronte madida di sudore, il cuore batteva all’impazzata, la testa sembrava scoppiargli. Si guardò intorno giusto il tempo per rendersi conto che era stato solo un incubo. Guardò l’orologio, erano le 5.00 del mattino, fuori ancora buio. Si sedette sul bordo del letto e fece per alzarsi. Un capogiro lo fece desistere. Cominciò a respirare lento e profondo. Riprovò. Raggiunse la porta della sua stanza appoggiandosi a tutto ciò che trovava sulla sua strada e da qui le scale che scese tenendosi stretto allo scorrimano. La porta della cucina era socchiusa, la luce accesa. Aprì con il dorso della mano e vide sua madre Farida, capelli sciolti, guardare fuori dalla finestra tenendo tra le mani incrociate una sigaretta. Quasi non si accorse di lui. “Come mai già sveglio? Sei pallido come un cencio.” “Solo un brutto sogno”, rispose Jamal. “Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo?”, sussurrò lei. “No, solo un bicchier d’acqua.” “È a causa di quello che è successo ieri sera, vero? Te lo si legge in faccia. Ma sai bene com’è fatto tuo padre.” “No, non lo so, dimmelo tu.” “Quando decide una cosa, la porta a termine. Sappi che io sono dalla tua parte. Neanch’io vorrei lasciare il Paese”, fece lei con gli occhi bassi. Hussein era un uomo tutto d’un pezzo; ex militare nell’esercito regolare. Lasciare il Libano per lui era l’unica salvezza per non essere fagocitati da una guerra assurda, dal non senso. E non volle sentire ragioni. Nel frattempo, svegliata dal brusio proveniente dalla cucina, era scesa anche Nur, la sorella. “Cos’è, una riunione di famiglia?”, disse la madre per stemperare i toni. “No, è che siamo tutti un po’nervosi. Dovremmo darci una calmata. Non si può continuare così.” “E allora perché non mi hai sostenuto”, proseguì Jamal rivolto alla madre “invece di startene in silenzio tutto il tempo mentre io cercavo di persuaderlo che scappare come dei ladri quando la nostra gente ha più bisogno di noi è da vigliacchi”, aggiunse. “Sarebbe stato inutile. È buono, se ha preso la decisione di trasferirci lo fa per il nostro futuro. Fra pochi mesi il Libano sarà ridotto in macerie e non credo tu voglia buttare via la tua vita”, replicò lei. “Ah quindi”, continuò Jamal “dovrei anche ringraziarlo? Mi sta imponendo la sua volontà con la forza della sua autorità. Io voglio restare e combattere al fianco dei miei fratelli, non scappare. Lottare per una causa è motivo di orgoglio.” Preso dall’impeto si fermò un attimo poi riprese. “Stavolta sarà diverso. Sono adulto e deciderò secondo coscienza.” “Jamal, ragiona! Recupera il senno e rifletti bene sulle tue parole. Non riuscirai a fargli cambiare idea né ora né mai e resterai molto deluso”, concluse Farida. “Questo lo vedremo”, tagliò corto Jamal che le si avvicinò, le carezzò il volto e la cinse in un forte abbraccio. “Salgo di sopra, mi do una rinfrescata e vado all’Università”, le sussurrò. Intanto Nur se ne stava in disparte senza proferire parola, pur essendo d’accordo con il fratello al quale era legatissima. Il fatto che in quel frangente se ne stesse zitta e non prendesse le sue parti lo irritò non poco. Ciò, tuttavia, non significava non lo sostenesse. Jamal per lei era il fratello, l’amico. “Tu non hai niente da dire? Accetti tutto questo passivamente?”, fece rivolgendosi a lei. “Sai bene come la penso. Esattamente come te, ma che senso avrebbe se non quello di continuare il litigio perenne in questa casa? Vorrei solo un po’ di tranquillità, solo questo.” “Anch’io come te qui ho affetti che per nulla al mondo lascerei ma sono una donna ed il mio pensiero conta poco.” Stizzito salì in camera, si vestì, prese la tracolla e ridiscese. Salutò e uscì fuori in giardino. In quell’istante intravide suo padre. I loro sguardi si incrociarono appena. Jamal fece per andare dritto quando questi lo afferrò per un braccio. “Jamal”, disse, “non avercela con me, cerco solo di essere un buon padre.” “Non mi sembra questo il modo”, ribatté. “Ieri abbiamo litigato e ci siamo lasciati andare. Cosa dovrei fare, dimmi! Ras- segnarmi ad una morte certa?”, fece sconsolato. “Non di certo, ma partire sarebbe come tradire la Patria. Il tuo è un diktat che non posso accettare.” “Ho servito il Paese per venticinque anni” disse Hussein “sempre con onore, rischiando la vita, ma adesso guardati attorno e dimmi se riconosci più la tua terra”, disse. “No, non è più la stessa ma è pur sempre il posto dove sono nato e sento il dovere di non starmene a guardare. Io non scapperò”, disse Jamal svincolandosi dalla stretta dell’uomo. “Aspetta”, disse avvilito il padre ma il ragazzo era già distante ed andò dritto senza voltarsi. Inforcò la bici e si avviò verso la strada principale attraversando un vialetto che altro non era che un budello di strada sterrata, che si insinuava in mezzo alle macerie. Da lontano, scorse un’anziana donna che camminava lenta, ricurva su sé stessa nel suo niqab nero. In mano un fagotto. Quando Jamal le passò accanto, volse leggermente lo sguardo verso di lui. Questi la superò e si fermò a guardarla. Gli sembrò la donna dell’incubo della notte precedente ma, pensò, quel sogno aveva avuto una tale carica emotiva che lo aveva scosso non poco. Era tutto frutto di suggestione. Fatto sta che non l’aveva mai vista da quelle parti. Accantonò questi pensieri e riprese a pedalare per alcuni chilometri fino alla Corniche, il lungomare, una volta rinomato per i suoi caffè, i ristoranti e frequentato da molti turisti che ammiravano il sole tramontare dietro i faraglioni. Il vento in viso gli infondeva forza e sicurezza, nonostante fiducia ed ottimismo fossero sentimenti difficili da provare. Fermarsi per qualche minuto in quel posto era da anni un appuntamento fisso della sua giornata. Lì riusciva a riprendere fiato, a stare un po’ da solo con sé stesso. Era come se quel luogo sortisse su di lui un effetto catartico. Si fermò in uno degli ormai pochi locali ancora aperti, ordinò un knafeh ed un succo d’arancia. Si sedette su una panchina ad assaporare quanto acquistato e ad ammirare quel mare, un tempo luogo di incontro tra diverse culture. Un ginocchio flesso sul sedile, l’avambraccio dondolante e tra le mani una sigaretta. Respirava l’aria di mare, forte, affinché potesse penetrargli dentro fugando i cattivi pensieri che gli balenavano nella mente. Ripensò al giorno prima, all’invito del padre di essere puntuale per cena, a quando questi aveva comunicato la decisione di trasferire tutta la famiglia ed al conseguente alterco fra loro. Il pensiero dell’incubo notturno non lo abbandonava; rivisse attimo per attimo le scene sognate nella speranza di dare loro un senso senza però riuscirvi. Soprattutto la mente tornava a quella anziana donna ed alle sue parole, quasi un presagio. Cosa volevano significare? Forse che il suo posto era davvero lì, che aveva una missione da compiere? Razionalmente continuava ad opporsi all’ipotesi di doversi trasferire, ma in cuor suo, sebbene nutrisse ancora qualche flebile speranza, sape- va che sarebbe andata come il padre aveva deciso. Si attardò più del solito a godere di quel paesaggio così incantevole, di quella brezza che ogni volta lo rimetteva al mondo, di quella magia. Osservava il mare come in una trance ristoratrice, quelle onde che si scagliavano forte contro gli scogli e schiumavano come la sua rabbia. Con questi pensieri nella testa, raccolse le sue cose e si avviò sfrecciando con la bici tra i vicoli della città vecchia. Era quasi l’ora della preghiera quindi si diresse verso la moschea che ormai frequentava con assiduità. “Dio è il più grande. Sono testimone che non vi è alcun dio all’infuori di Iddio. Sono testimone che Muhammad è il Profeta di Allah. Affrettatevi alla preghiera. Affrettatevi al successo. Dio è il più grande. Non vi è alcun Dio all’infuori di Iddio.” Era estasiato dalle parole della chiamata, semplice rappresentazione di un supremo atto di fede. Si lasciava andare ad esse con assoluto trasporto. Arrivava sempre in perfetto orario, pedalando forte, come suo solito. Legava la bici ad un palo e si recava alla fontana per le abluzioni di rito per essere pronto, puro davanti al suo Signore. A volte si soffermava più del solito lavando le parti esposte del corpo con assoluta meticolosità. In quei momenti, tutto sembrava fermarsi, i brutti pensieri svanivano per lasciar spazio alla serenità della preghiera. Seguiva con attenzione, cercando di carpire dalle parole dell’Imam anche gli aspetti apparentemente meno significativi: le parole non dette, le allusioni a fatti e circostanze. Queste, infatti, a volte erano sferzanti, dure, dirette mentre per altre c’era la necessità di andare oltre le parole, di capire ed interpretare. Un venerdì il sermone dell’Imam fu molto duro. “Cari fratelli, guardatevi attorno e cercate di osservare ciò che vi circonda: decadenza, degrado, corruzione e costumi dissoluti. La nostra società è alla deriva. Vi dicono che è il progresso, ma è solo declino. Come la pornografia, la fornicazione, internet.” Fece una breve pausa, riprese fiato e continuò. “Tutto ciò viene incoraggiato, ma è peccato. Chi fa questo deve essere punito, su questa terra e nell’aldilà. Con la mente o con il corpo, con la parola o la spada se necessario. Andate dunque e combattete per i valori che ci ha insegnato il Profeta. Diffondetene la parola, imponetela se necessario con tutta la forza della vostra fede.” Quelle parole così forti inculcarono in Jamal la convinzione che la Jihad, la lotta contro i miscredenti, fosse dovere di ogni musulmano per guadagnarsi il Paradiso. Terminata la funzione, anche quel giorno si attardò sugli scalini della moschea a riflettere recitando le Sure. Aprì il Libro Sacro e vi lesse: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità...” Parole forti che egli credette dovessero essere applicate alla lettera. Combattere i miscredenti, affermare l’Islam anche con la lama se necessario. Non lontano da lui, spesso si formavano capannelli di uomini che commentavano le parole appena ascoltate. Non poteva evitare di origliare data la vicinanza. Quegli individui, sovente, erano viscerali nelle loro prese di posizione. Quel giorno le parole pronunciate durante il sermone lo turbarono profondamente, accelerando quel processo interiore che aveva bisogno solo di una piccola scintilla per accendersi definitivamente. Si sentiva smarrito, senza un riferimento certo, incapace di discernere il bene dal male, il vero dal falso. Avvertiva crescere dentro un senso di rivalsa mai provata prima di allora I pensieri erano confusi; fede o razionalità, lotta o dialogo. Ad un certo punto, perso distrattamente dietro queste riflessioni, gli sembrò di vedere la vecchia donna del sogno. Si alzò e le corse dietro ma più correva più lei si allontanava fino a scomparire nel nulla. Stava forse impazzendo o dietro a quel sogno c’era un inconscio disegno, una malcelata volontà? Mentre si avviava verso casa, scorse un gruppo di ragazzi che, poco distanti, distribuivano volantini. Gli passò di fianco con apparente disinteresse. Furono questi a richiamare la sua attenzione con i loro discorsi. “Dobbiamo riprenderci ciò che ci appartiene e che questa guerra ci sta togliendo. Interi quartieri sono alla miseria. Non ci sono acqua, né medicine. Gli ospedali sono al collasso. Oltre alla dignità, ci stanno togliendo la vita.” Si accorsero della sua presenza e gli chiesero di unirsi a loro. Non sapendo cosa dire, Jamal balbettò un “si” poco convinto. Raccolse i volantini e con un cennò del capo salutò. Entrò in casa e salì subito in camera sua. Lesse e rilesse le frasi contenute in quei fogli e cominciò a convincersi davvero si trattasse di una causa da combattere ad ogni costo, con tutti i mezzi. Li tormentava tra le mani, li accartocciava, li riapriva e rileggeva, con la mente che tornava ai discorsi di quegli uomini ed a quei ragazzi assolutamente determinati. Era talmente concentrato su di sé che quasi non si accorse che la madre, scostando l’uscio della sua stanza, gli comunicava che era pronto in tavola. Il sermone dell’Imam, le sue parole e quell’incontro lo avevano colpito, determinando così una lenta quanto definitiva convinzione. Era un musulmano, doveva e voleva fare la sua parte, così come gli era stato sempre insegnato. Da allora, cominciò ad occuparsi sempre più di politica, a fare discorsi mai pensati, a convincersi che il suo posto era lì e che niente e nessuno avrebbe potuto fermare quel percorso. Ai manuali scolastici, ormai alternava lo studio della storia e delle azioni dell’OLP, che in quei mesi aveva praticamente attecchito in Libano a seguito dei tanti profughi palestinesi giunti dalla Giordania e che una grossa responsabilità avevano avuto nell’inizio delle ostilità. Da una parte i cristiani, timorosi della massiccia presenza palestinese; dall’altro i musulmani che si sentivano poco rappresentati nella società, in politica, nelle istituzioni. L’epilogo non poteva essere diverso, la guerra civile fu ineluttabile. Allo studio della storia palestinese, Jamal accostò anche la lettura di testi concernenti tecniche di guerriglia che riuscì a procurarsi al mercato nero. Senza sosta, anche di notte la luce era accesa ed al mattino erano evidenti i segni del sonno perso. Ma Jamal non avvertiva la fatica. La sua voglia di apprendere e capire era smisurata. Riprese a leggere il Corano, dandone spesso un’interpretazione assolutamente soggettiva che non traduceva coerentemente e nella loro attualità le parole del Testo Sacro. “Combatti dunque per la causa di Allah e incoraggia i credenti. Forse Allah fermerà l’acrimonia dei miscredenti. Allah è più temibile nella sua acrimonia, è più temibile nel suo castigo.” Leggendo questo verso, ne dedusse che il conflitto fosse necessario, concetto che risultò ulteriormente rafforzato da un altro che così recitava “La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso.” Riflettendo su quelle parole, dure nella loro essenzialità, Jamal si ad- dormentò. Ormai dopo quella sera, non fu più lo stesso. Quel giovane sempre allegro, estroverso ed anche un po’ istrionico, ben voluto da tutti, si stava trasformando pian piano in una persona rancorosa. Tornava a casa e trascorreva sempre più tempo nel silenzio della sua stanza. Ne usciva per cena, consumava velocemente il pasto e risaliva. Il rapporto con la famiglia stava scemando in qualcosa di asettico e formale.

Specifiche

  • Pagine: 148
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: 150*210
  • Isbn: 978-88-31243-07-0
  • Prezzo copertina: 15€

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