Antonio Strinna
Il superstite dimenticato

Il superstite dimenticato
Prezzo Fiera 20,00
Prezzo fiera 20,00
Il superstite dimenticato è un personaggio decisamente fuori da ogni logica umana. Costretto a sopravvivere a sé stesso, non può fare a meno di eludere anche i più ferrei limiti della realtà, sino a trasformare il suo microcosmo in una dimensione infinitamente più grande, surreale e visionaria.
L’amore, la passione, la violenza, l’assenza di perdono, il dominio dell’uomo sull’uomo sono i tratti più dirompenti e più diffusi fra le storie raccontate da questo singolare sopravvissuto. Un antico mulino ad acqua, risuscitato cinquant’anni dopo la sua morte. I personaggi che si incontrano nel romanzo sono alla ricerca ostinata della giustizia, del perdono e dell’amore, persino del proprio oblio. Nessuno di loro si accontenta della propria coscienza o di una verità qualunque, ancora meno di un Dio sempre più simile all’uomo. Tuttavia, non ignorano i loro torbidi meandri interiori e quali minacce vi ribollono dentro, consapevoli di tutto il male che hanno causato o subito a causa di una umanità deformata.
 
L’AUTORE
Antonio Strinna è nato a Osilo, in Sardegna. Ha pubblicato i romanzi: “Tutto accade” con Joker editore, “L’eroe maledetto” e “Il paese clandestino” con Arkadia editore. Inoltre: “Le missioni di pace della Brigata Sassari” con Edes e La Nuova Sardegna editore. 
Ha iniziato la sua attività artistica scrivendo testi di canzoni per bambini, con i quali ha vinto il primo Premio all’Usignolo d’oro nel 1971 e nel 1972. È coautore di molti brani che fanno parte del repertorio tradizionale dei cori polifonici sardi e non solo. Con alcuni suoi brani ha partecipato a trasmissioni televisive come Il sabato del villaggio, Vivere il mare e Linea blu.
È stato coautore di sigle musicali per Sardegna canta e Buonasera Sardegna, in emittenti televisive regionali. Suoi brani hanno fatto parte di colonne sonore: Andavamo a piedi nudi di Lucia Argiolas e Africa dolce e selvaggia di Angelo e Alfredo Castiglioni.
Con i suoi libri è stato presente più volte al Salone del libro di Torino e alla Fiera del libro di Roma “Più libri, più liberi”; nel 2005 ha partecipato, su Rai 3, alla trasmissione televisiva Fahrenheit tram.
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Primo capitolo
Sappiatelo, prima ancora di varcare la porta. Io sono l’unico risuscitato, cinquant’anni dopo la mia morte, l’unico fra i trentasei mulini che hanno popolato questa valle. Gli altri non sono che innocui fantasmi. Per questo la mia esistenza è maledettamente solitaria e difficile. Ogni giorno sono costretto a fare i conti con il vostro tempo, a me sempre più straniero, e con le mercanzie complicate e volubili che ogni giorno vi accompagnano e in fondo vi somigliano.
Lo dico senza rancore, senza chiedervi nulla, so bene che nessuno ha più bisogno di me, di un vecchio mulino ad acqua maldestramente restaurato che, anche per questo, fatica ad accendere la curiosità persino di bambini e ragazzi. Da parte degli adulti, soltanto presenze distratte e vaghi sguardi di compassione. Perciò, preso atto del mio vero destino, non ho potuto fare altro che liberarmi del mio bagaglio di vane attese. Non ho esitato a sostituirlo con il silenzio della valle e ad affidarmi al suo respiro, sicuro che non sarei stato mai tradito. Ho fatto tutto con tale discrezione che nessuno se n’è accorto. Tuttavia, oggi come allora, non posso fare a meno di chiedermi se sono qui per gioco, per ironia, per un sortilegio o per qualche fatalità tutt’altra che misteriosa. Su un fatto però non ho dubbi e credo neppure voi, superata ormai la porta. Qualcuno ha voluto farmi risuscitare, quasi fossi un banale esperimento da laboratorio, inchiodando fra loro il vecchio e il nuovo, e poi ha lasciato che mi divorassero i tarli e più di una contraddizione. Eppure, dovevano saperlo: dopo tanti calcoli e aspettative, non poteva essere che un azzardo innaturale e anche inutile.
Di sicuro ignoravano che la morte, il silenzio e anche l’oblio non mi sono stati mai ostili. Anzi, naturalmente familiari, proprio come la mia antica compagnia – trentacinque mulini e due gualchiere licenziata dalla vita e dal mondo nel momento in cui l’energia elettrica è piombata sulla valle portando con sé la luce. Certo un prodigio, peccato che poi abbia illuminato la nostra fine, sino all’ultimo respiro. La forza dell’acqua, sia pure millenaria, non poteva certo competere con quella dei motori elettrici. Così, tutti inesorabilmente sconfitti, siamo stati condannati all’inerzia e all’oscenità dell’indifferenza. Un anno dopo l’altro, ridotti a macerie, siamo diventati luoghi della solitudine e dell’abbandono, senza domani. Quasi sempre ben nascosti, ormai invisibili, credo per non offendere lo sguardo frettoloso di chi sarebbe passato da queste parti.
Involontario custode, non mi rimane che vegliare un cimitero di mugnai e mulini, gualchiere e gualchierai, disseminato lungo tutta la valle, insieme al groviglio inestricabile delle loro storie, il più delle volte vissute a caro prezzo e oggi senza alcun valore, né un segno che le ricordi neppure vagamente. Soltanto qualche incorreggibile nostalgico, ignorato dai più e dagli altri guardato con un senso di pena, fruga nella sua memoria alla ricerca della valle nel suo ormai lontano tempo di vita, quando qui era tutto un granaio e fare i mugnai significava confondersi con il proprio mulino. Mulinarzos, cioè mugnai, così correva il loro nome nei paesi vicini, di bocca in bocca, accompagnato da un inconfondibile odore di farina. Del resto, ogni famiglia un mulino o almeno una gualchiera – questo era San Lorenzo – con un solo torrente, che bastava per tutti, come il sole, la luna, l’aria. E c’era anche uno sguardo soltanto, sempre rassicurante, quello del santo protettore.
Invano i pochi rimasti nella valle, senza più frumento né farina, né orbace da addomesticare, tentano di nascondere pietosamente i loro fantasmi spaventati, insieme ai ricordi ammutoliti, al grumo di vita informe del quale nessuno vuole più sapere. Merito di questo tempo, nel quale l’abitudine a dimenticare – disinvolto usa e getta – è sempre più diffusa e inconsapevole; a meno che non ci sia qualche ferita che non vuole sentirne di rimarginare, di quelle che tolgono il sonno a qualunque ricordo. E io di queste ferite ne coltivo ogni giorno, quasi ovunque nel corpo, visibili e no, le seconde molte più delle prime; sono così numerose che neppure io saprei racchiuderle in un solo sguardo. Per di più, tutto nella valle è insonne, tutto è tormento. E non c’è niente che non sia parte di me, come io sono parte della valle.
E poi, sono realmente risuscitato? Risuscitato in quali condizioni e per quale scopo a me così sfuggente ancora oggi? Dopo dieci anni e qualche frammento di vita, ricordo sempre meno di questo solitario soggiorno, spesso faccio confusione con i nomi e anche con i fatti, soprattutto non mi riesce di abituarmi al presente, al suo viaggio senza regole e ugualmente privo di vere passioni. Troppe cose sono cambiate nel frattempo e ogni cosa, fatta quasi sempre di sola materia, sembra non avere figli né eredi, ma soltanto sé stessa, di qua dall’orizzonte. Dove in tanti frequentano il trucco, il travestimento, per il solo gusto di cambiare, e ogni volta li veste e riveste la volubilità più irrefrenabile, come volesse nascondere qualcosa. Chissà, il vuoto?
Sono sempre più consapevole di essere un vecchio arnese messo in piedi malamente e, subito dopo, scaricato in una sorta di deserto senza oasi e neppure miraggi. Qui la mia rinascita non può fare a meno di capacitarsi, fra tante finzioni, della solitudine che mi avvolge ogni giorno, del suo fuoco come della sua neve. Se poi sono risuscitato davvero, come ancora vogliono farmi credere, allora dovrei essere in grado di respirare con le mie ruote, le mie mole e la mia tramoggia, insomma dovrei riuscire a trasformare il frumento in farina. Ma quando mai potrei esistere come qualunque mulino degno di questo nome? Chissà, facendo affidamento su una ruota, quella esterna, ricostruita con dimensioni ridotte, e persino fragile? Come avevo facilmente previsto, il mozzo – nel punto di appoggio esterno – dopo due o tre anni ha ceduto al marciume e, inclinandosi, si è portato appresso la ruota. Fra non molto, ne sono sicuro, toccherà la stessa sorte all’altra estremità del mozzo, quella interna.
Il tempo, si sa, mette puntualmente alla prova proprio tutto, e la sua mannaia, sempre incombente, non può certo risparmiare ciò che non è stato costruito per durare e neppure per funzionare realmente. E poi c’è l’ozio quotidiano, affollato di sabbie mobili, che ho sempre temuto molto più della fatica, un ozio ineluttabile che mi sta inghiottendo da dieci anni a questa parte, un poco alla volta; d’altronde, dov’è il torrente che con il suo vigore dovrebbe darmi forza e vita? È diventato invisibile o, più semplicemente, non esiste più? Proprio così, non c’è più la mia antica, indispensabile vitalità. E senza l’energia dell’acqua, si sa, io non potrei essere che un vecchio pensionato incapace di guadagnarsi anche un solo grammo di vita. La mola superiore è come quella inferiore, immobile, dorme di un sonno pesante e ininterrotto. La campanella della tramoggia, guardia del mugnaio, non riceve nessun impulso dalla colombella, perciò non emette alcun suono, neppure per gioco.
Chi dovrebbe allertare? Qui dentro non c’è frumento da macinare, non ci abita né ci lavora nessun mugnaio, nemmeno un’ora al mese. Non c’è più il caminetto, con il suo fuoco e le sue storie, il forno non fa che dormire, del pane non ricorda più neanche il profumo. Non ci sono bambini, né sogni, né domani. Il chiacchierio del torrente lungo la valle, di notte come di giorno, lo ascolta qualcuno?
Ve lo può confermare la valle intera che io e il mugnaio siamo sempre stati una cosa sola. Così uno dava senso all’altro, in ogni gesto, uno l’orizzonte dell’altro, unica certezza di vita. Non per niente io ero anche la sua casa, la sua preziosa compagnia, il suo pensiero fisso e la sua musica. Mi dovete credere, io e il mugnaio abbiamo sempre viaggiato insieme, perfettamente complici, dentro lo stesso destino, condividendo anche il respiro. Al punto che neppure la morte, nonostante non sia mai stata tenera con noi, è riuscita a turbare la nostra armonia.
Adesso non c’è più storia fra noi, neanche un barlume. La sua assenza potrebbe non essere anche la mia? Vivo tutto questo mentre osservo la brutalità di un tempo che ogni giorno semina smarrimento e di smarrimento si nutre. Vivo e constato come i soldati di questa valle, che pure hanno servito generosamente la loro patria per tanti secoli, sono stati sconfitti senza che venisse loro concesso neanche l’onore delle armi. Niente, infatti, è stato risparmiato delle loro esistenze, non una traccia del loro passaggio è rimasta in questo tempo smemorato.
E pensare che al momento della mia rinascita non c’era niente di me che non funzionasse davvero, come cinquant’anni prima, ogni congegno, ogni passaggio. Nell’incredulità generale, compresa la mia, il miracolo era proprio accaduto. L’acqua, le ruote, le mole, il frumento nella tramoggia, la farina dritta nel sacco, e ovviamente il mugnaio, sia pure improvvisato.

Specifiche

  • Pagine: 298
  • Anno Pubblicazione: 2021
  • Formato: 150 x 212
  • Isbn: 979-12-80786-08-1
  • Prezzo copertina: 20,00

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