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Diastema

Enzo Lanzo
La batteria jazz, strumento per… tamburi e griot

La batteria jazz, strumento per… tamburi e griot
Prezzo Fiera 12,80
Prezzo fiera 12,80 21 assoli di batteristi jazz che hanno rivoluzionato il jazz drumming

Un approccio alla batteria leggero e intenso insieme, una propensione alla didattica che porta i giovani a godere del sapere dell’autore, e anche del suo estro letterario che fonde creatività testuale e concretezza dogmatica. La continua ricerca del suono conduce l’autore ad accostarsi alla tradizione della musica improvvisata europea, in cui elementi della tradizione “nera” si fondono con quelli della sua terra.
I temi trattati sono affrontati con sensibilità, in particolare il solismo batteristico nelle trascrizioni della seconda parte, così come le valutazioni sui grandi batteristi trascritti, un magico equilibrio fra la loro definizione storica e l’averli sentiti come parte della propria formazione musicale.

Primo capitolo

I

 

Dai luoghi d’origine al jazz

 

I “luoghi d’origine della cultura musicale” – principalmente riconducibili a quando il suono era parte integrante di quella più complessa organizzazione sociale di molti popoli e tribù nella madre di tutti i continenti, l’Africa – si perdono in epoche lontane. La musica e i suoni largamente intesi, qualsiasi tipo di suono generato da qualsiasi evento, erano elementi costitutivi di una più complessa struttura sociale. Non solo nel continente nero, ma in tutti gli altri continenti e in tutte le culture dei popoli sparsi sul pianeta. La conoscenza musicale, i suoni – così come la religione, la matematica, l’astronomia, la conoscenza dell’Uomo (Anthropos) – erano un tutt’uno. L’inevitabile evoluzione, il mutamento dei paradigmi sociali e la moderna visione della vita hanno portato a separare la conoscenza universale onnicomprensiva nelle singole conoscenze. Questo ci ha condotto nella direzione di una conoscenza settoriale e specialistica, mortificando la visione globale dell’essere.

In tutti i modi, è dall’Africa che devo partire per spiegare l’importanza di ciò che sono stati – e che sono ancora – il ritmo e il poliritmo nella musica moderna e specialmente nel jazz, quale passaggio fondamentale verso gli elementi chiarificatori del linguaggio dei master drummers. Le musiche del continente nero, specialmente quelle autoctone dell’Africa sub-sahariana, sono intrise in maniera considerevole, di una tale complessità ritmica e poliritmica (anche su diversi metri), difficilmente intelligibile a un ascolto ordinario. La complicata macchina ritmica e poliritmica di certe rappresentazioni/riti si è trapiantata in moltissime musiche occidentali, negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa. L’elemento più seducente, più affascinante, più attraente di queste performance risiede proprio nel ritmo, nella poliritmia e nella multiritmia, in particolare per la possibilità di distinguere molto chiaramente tutti i ritmi di un’esecuzione, percependoli in maniera coerentemente unitaria. Tutto questo si realizza esclusivamente attraverso l’esecuzione e l’improvvisazione ritmica, in cui il suono era/è il collegamento con la sfera spirituale. Per questa ragione non esistono documenti scritti, ma tale passaggio è lasciato direttamente ai griot che ne tramandarono – e ancora oggi in qualche caso ci consegnano – la tradizione musicale e, come dicevo, non solo questa. I griot, autorevoli personaggi di una cultura in estinzione, sono poeti-cantori africani il cui compito è quello di conservare e tramandare la tradizione e i riti degli antenati. Essi hanno anche il compito di ambasciatori e interpreti presso i capi tribù. Ancora oggi, in molti paesi africani come Senegal, Burkina Faso, Gambia, Mali, queste figure sono molto considerate presso i potenti di quelle terre, avendo il ruolo di consiglieri e di portavoce presso il popolo, nonché affidatari del passato e ponte di congiunzione con il futuro.

La musica africana è la sorgente vitale della musica d’oggi e di tutte le musiche moderne, in particolare del jazz, in cui il blues e il son rappresentano i componenti ispiratori basilari. Le religioni animiste dei popoli africani, intrise di tanta musica, una volta forzatamente portate nelle Americhe, non si sono mai perdute; al contrario, hanno trovato nuovo alimento, una nuova forza: la sfera religiosa, con tutti gli elementi musicali al suo interno, attraverso la mescolanza con il Cristianesimo ha dato vita a tutta la musica moderna. In questo contesto, i suoni, e in particolare il canto, erano parte integrante della vita sociale e religiosa.

 

Le popolazioni europee che abitavano le nuove terre d’oltreoceano osteggiarono ferocemente le manifestazioni organizzate dai gruppi di negros locali, intrise di canti, suoni, preghiera, danza, meditazione, rappresentazione scenica. Ai negros slaves veniva associata la ‘patogenesi’ del ritmo il quale, entrando nelle profondità del fisico e della mente, conduce a essere volgari, plebei e osceni, perciò veniva contrastato. Ma il paradosso fu che proprio la comunità dei bianchi attraverso i minstrels (rappresentazioni sceniche in cui vi era la mescolanza dei vari generi di spettacolo: canto, danza, recitazione, scketches di vario tipo in cui i bianchi si dipingevano la faccia di nero, i blackface, molto in voga nell’America del primo Novecento), portò al successo la nuova ‘cosa’ tutta negros intrisa di blues.

Insomma, in società la resistenza era molto forte a mischiarsi con quella cultura ma non nello spettacolo. Nonostante il bieco ostracismo, il passaggio in una mescolanza religiosa, musicale e sociale, si realizzò. Si assistette alla creazione di vere e proprie novità in tutti i campi della vita sociale, culturale e religiosa. In campo musicale: il blues, il son, il samba e da qui il jazz e tutta la musica a venire. In questa situazione, e con una convivenza civile coercitiva, dalla fine del 1600 fino ai primi decenni del 1900, si produsse questa moltitudine di fenomeni molto singolari.

La religione, intesa come ri-collegamento dei popoli con le loro tradizioni, diventa la fonte ispiratrice di un universo culturale senza precedenti. Tutto ciò che poteva servire a richiamare le tradizioni, come rumori, suoni, riti, ritmi, melodie, fu ben accetto: Ellington, Gillespie. Tutti i musicisti e compositori di jazz (Hawkins, Basie, Cozy Cole, Parker, Davis, Coltrane) furono influenzati dalle conseguenze del suddetto sincretismo e dalla potente speranza della riabilitazione culturale, nei confronti di un modello societario che li confinava a cittadini di serie B. In questo contesto, l’influenza della cultura ebraica fu determinante su tutti i piani: melodico, ritmico e improvvisativo.

L’America, nel passaggio dal XIX al XX secolo, è un meltin pot senza precedenti, in cui africani, ebrei, italiani, creoli condividono lo stesso destino fatto di umiliazione. A questo proposito, consiglio vivamente la lettura di Che razza di musica di Stefano Zenni (EDT 2016).

Specifiche

  • Pagine: 176
  • Anno Pubblicazione: 2019
  • Formato: 17x24
  • Isbn: 9788896988596
  • Prezzo copertina: 16,00

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