Stefano Cavina
Uomini o marziani

Uomini o marziani
Prezzo Fiera 29,00
Prezzo fiera 29,00 Marte e l'origine della vita
  • Stefano Cavina, giornalista scientifico, in questo importante saggio, indica ipotesi di studio e ulteriore ricerca rispetto alle conoscenze acquisite nell'esplorazione del pianeta rosso. 
    Resta un solo punto senza risposta, un punto determinante, quello della vita. Troveremo la vita sul Pianeta Rosso? Sarà simile alla nostra? Sarà pericolosa?
    Potrebbe esser nata prima su Marte, e poi essere arrivata sulla Terra? Come potremmo reagire a una pandemia spaziale? Questi interrogativi si inseguono da decenni, ma
    forse, presto, potremo trovare delle risposte all’atavico dilemma umano: chi siamo, da dove veniamo e, soprattutto, dove andremo.
  • L’autore affronta tra le altre cose, i problemi tecnici, medici e psicologici che devono essere affrontati per una missione umana su Marte e ricorda come la scelta del nucleare sia attualmente l’unica soluzione per ridurre i tempi di viaggio e spiega come l’utilizzo di un equipaggio tutto al femminile, sia la scelta migliore, rispetto all’uomo, per i voli spaziali interplanetari. 
Primo capitolo

L’antenato “zero”

 

            La vita nel Sistema Solare può essere nata ovunque, ma sembra sempre più probabile che su Marte si sia sviluppata prima che altrove, e poi, trasportata da una roccia, di essere arrivata sul nostro pianeta.

            Sembra una affermazione fantascientifica, eppure gli scienziati concordano che agli inizi della loro storia Venere, Marte e la Terra produssero fenomeni chimici simili e probabilmente una evoluzione organica comune. Il raffreddamento della crosta e un’atmosfera ancora bollente, permise a quattro elementi fondamentali: carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, di combinarsi fra loro per formare quattro importanti molecole: idrogeno, acqua, ammoniaca e metano. Queste molecole iniziarono a interagire sotto l’influenza delle radiazioni solari, di scariche elettriche atmosferiche, del calore del vulcanesimo, del rimescolamento delle superfici provocato dagli impatti, delle radiazioni ionizzanti derivanti dal decadimento di elementi radioattivi. Mentre le croste dei pianeti continuavano a raffreddarsi, piogge e altri fenomeni acquosi sciolsero queste sostanze trascinandole in superficie dove si concentrarono in specchi d'acqua e pozze di fango. Con la fine del “grande bombardamento tardivo” i pianeti entrarono in una fase di relativa tranquillità, le sostanze contenute nelle acque ristagnanti, tenute calde dalle forze geotermiche in quello che oggi è comunemente chiamato brodo primordiale, continuarono a reagire dando luogo a molecole organiche più complesse (aminoacidi, acidi nucleici e proteine) ma ancora disorganizzate. Quel che accadde in seguito è un mistero, eccetto che per le divergenti evoluzioni fisiche e ambientali che ebbero i tre pianeti.

            Senza scomodare Dio, il passaggio dalla non-vita alla vita rimane tuttora un mistero al quale non riusciremo a dare una risposta, né forse la daremo mai. Quel che è certo, è che a un certo punto si sono venute a creare condizioni tali per cui alcune sostanze organiche determinarono la nascita di una cellula vivente. Sulla Terra, il processo di sviluppo portò una radicale trasformazione dell’atmosfera che divenne ricca d’ossigeno e opaca ai raggi ultravioletti. Da quel momento, che dura ancora oggi, la vita non poté che generarsi da altra vita. Se è accaduto sulla Terra, nulla esclude che questa trasformazione sia avvenuta nello stesso periodo su Venere, prima che si trasformasse in un inferno, e su Marte prima che divenisse un freddo deserto, ma se per Venere abbiamo ancora poche possibilità di indagare, e sulla Terra l’erosione e la tettonica hanno amalgamato più volte la crosta nascondendoci i suoi misteri, su Marte, la cui evoluzione si è fermata da almeno 3,5 miliardi di anni, è ragionevole pensare che si possano trovare ancora intatte antiche vestigia di vita, sotto forma di fossili o altre testimonianze.

 

 

            La culla della vita

 

            Secondo quanto pubblicato nel 2017 sulla rivista Nature (1) la vita sulla Terra è comparsa “appena poche” centinaia di milioni di anni dalla formazione del Sistema Solare, sotto forma di batteri che popolavano il fondo degli oceani, crescendo sulle pareti di vulcani sottomarini e sfruttando la ricchezza di ferro di quell'ambiente per il loro metabolismo. I loro resti sono stati trovati in alcune rocce, di età compresa fra i 4,3 e 3,8 i miliardi di anni fa, dal geologo Dominic Papineau, (University College di Londra). Raccolte nelle Nuvvuagittuq Greenstone Belt (NGB) che si trovano nel Quebec, in Canada, le rocce di quarzo contenevano resti fossilizzati di sottilissimi tuboli, del diametro pari alla metà di un capello umano e della lunghezza massima di mezzo millimetro, principalmente composti da ematite, una sorta di ruggine normalmente di origine biologica, ma che può formarsi anche senza l’intervento della vita. Comunque sia, questi pseudo fossili non sono ancora l’antenato zero, perché sono già un insieme di cellule organizzate, probabilmente già capaci di riprodursi e mutare con notevole frequenza.

            Se assegniamo loro la datazione più vecchia, ci troveremmo di fronte alla forma di vita terrestre più antica mai osservata finora, ma l’incertezza dovuta all’ampio intervallo di età riscontrato nelle rocce, ci fa comprendere come nonostante il continuo miglioramento degli strumenti, le analisi radiometriche siano così complesse che avere una datazione precisa è ancora molto difficile.

            Prima di questa scoperta, i microfossili più antichi scoperti sul nostro pianeta erano stati trovati nell'Australia occidentale, nella regione del Pilbara, e risalgono a 3,46 miliardi di anni fa, ma anche in questo caso la determinazione dell’età è incerta, inoltre alcuni scienziati ritengono che i batteri scoperti potrebbero essere degli artefatti non biologici. Ad ogni modo, Papineau e Matthew Dodd (UCL - Earth Sciences e London Centre for Nanotechnology), principali autori della pubblicazione, ritengono che la loro scoperta sia egualmente molto importante perché proverebbe che in un periodo compreso tra 4.3 e 3,8 miliardi di anni fa, la vita sulla Terra proliferava accanto a sistemi di sfiato idrotermali, in acque profonde e ricche di ferro. Ecosistemi che esistono ancora oggi nei fondali sottomarini dove, accanto a sorgenti termali e camini vulcanici, prosperano ecosistemi affascinanti e ancora poco conosciuti, per cui non abbiamo dubbi sul fatto che molteplici tipi di batteri possano vivere a grandi profondità, accanto a bocche laviche che spargono sostanze nutrienti e ricche di ferro.

            I filamenti fossili di ematite sono stati trovati all'interno di strutture delle dimensioni di un centimetro chiamate concrezioni (o noduli) e in altre sferoidali chiamate rosette (o granuli), che sappiamo essere il prodotto del decadimento biologico, e che sono mineralogicamente identiche a quelle contenute nelle rocce più giovani dalla Norvegia, nell'area dei Grandi Laghi del Nord America e nell'Australia occidentale. Inoltre, esaminata al microscopio, l'ematite dei tuboli mostra la stessa ramificazione caratteristica prodotta degli odierni ferrobatteri (2) che prosperano nei pressi di fonti idrotermali, e che sono state trovate accanto a grafite e minerali come l'apatite e il carbonato, che si trovano nella materia biologica e sono spesso associati ai fossili. Questa scoperta, pur presa con tutte le necessarie precauzioni, non solo aiuta gli scienziati nella ricostruzione della storia del nostro pianeta, ma dimostra che la vita si è sviluppata sulla Terra in un momento in cui anche Venere e Marte avevano acqua liquida in superficie ponendo interessanti domande sulla vita extra-terrestre.     Che i vulcani sottomarini siano stati una probabile “culla della vita” era un'ipotesi già avanzata in passato, ma la scoperta del Quebec da un ulteriore sostegno all’ipotesi, rafforzando l’idea che ambienti simili si possano essere formati anche in altri pianeti

 

***

 

            Perché Marte è il posto migliore per trovare l’antenato zero? Perché al contrario della Terra, una lavagna continuamente cancellata da sconvolgimenti tettonici e atmosferici, il pianeta rosso ha mantenuto intatta nelle sue rocce per più di tre miliardi di anni, la memoria di tutti quegli avvenimenti. Una condizione privilegiata che, se ne saremo in grado, ci permetterà di leggere e interpretare la sua storia biochimica e magari di scoprire fino a che punto l’evoluzione biologica può essersi sviluppata. La speranza dei biologi è di scoprire su Marte quando e come è apparsa la prima cellula, fino a che punto si è sviluppata e magari trovare il suo ultimo atto, quello di una vita scomparsa. In ogni caso lo studio in loco di Marte potrà senza ombra di dubbio, riempire molti dei capitoli mancanti al nostro libro della vita. Ad ogni modo, ovunque abbia avuto origine la vita, possiamo essere felici che abbia messo radici sul nostro pianeta blu, perché dei due pianeti solo il nostro ha mantenuto condizioni adatte per sostenerla, infatti, se i nostri ipotetici antenati marziani fossero rimasti su Marte, molto probabilmente non ci sarebbe stato nessuno a raccontarvi questa storia.

 

 

            I paradossi della vita

 

            Comunque, e ovunque sia iniziata la vita, una cosa è certa, i suoi primi blocchi organici, chiamati idrocarburi, avevano una serie di ostacoli da superare per poter evolversi in cellule viventi, perché alimentati con il calore o la luce e lasciati a sé stessi tendono a trasformarsi in inutili sostanze chimiche come il catrame, e anche quando sorgono molecole più complesse come l'RNA, la migliore ipotesi dei biologi per la prima molecola genetica, l'acqua le scompone rapidamente.

            Grazie a recenti studi di laboratorio, alle conoscenze chimiche di Terra e Marte, nonché ai recenti modelli che descrivono la formazione dei pianeti, tutto fa pensare che gli ostacoli chimici alla vita potrebbero esser stati di gran lunga minori sul primordiale Marte che sulla giovane Terra. Questo perché la Terra primitiva era un mondo acquatico completamente coperto dagli oceani, mentre su Marte l'acqua copriva solo una parte della sua superficie. Inoltre, gli ingredienti della crosta marziana avevano, e lo hanno tuttora, un effetto ossidante di gran lunga maggiore rispetto alle rocce terrestri, consentendo più facilmente la formazione di molecole contenenti ossigeno.

            La risposta ad alcuni di questi quesiti arrivò da Steven Benner, del Westheimer Institute of Science and Technology di Gainesville (Florida), quando il 29 agosto 2013 esordì a Firenze, durante l’annuale congresso mondiale sulla geochimica Goldschmidt®, organizzato dalla European Association of Geochemistry and of the Geochemical Society, con questa frase ad effetto:

 

«Sembra che in realtà siamo tutti marziani, perché la vita potrebbe aver avuto inizio su Marte ed essere arrivata sulla Terra trasportata da una roccia.»

 

            La conferenza di Benner ovviamente non riguardava la panspermia (3), ma cercava di dare la risposta dal punto di vista chimico, ai “quattro paradossi” che impediscono la formazione spontanea di RNA sul nostro pianeta. La soluzione, secondo l’ultradecennale esperto in biologia sintetica, è nella presenza di minerali catalizzatori come ossidi di boro e molibdeno, che interagendo con molecole organiche intermedie, possono dar luogo a molecole di RNA. Interazioni però, che richiedono un ambiente asciutto o con sporadici contatti con l'acqua, e considerando le condizioni climatiche marziane di quattro miliardi di anni fa, il pianeta possedeva una chimica per la vita più convincente di quella che poteva esistere sulla Terra.

            Secondo il quadro classico della biologia, la prima molecola genetica a formarsi e in grado di fornire uno schema adatto a riprodursi, e dar vita ad altre molecole vitali fu l’RNA (RiboNucleic Acid), che si sarebbe sintetizzato in una zuppa primordiale di molecole organiche semplici. Eppure, nonostante siano stati effettuati numerosi esperimenti nel campo dell'evoluzione chimica, il primo ad aver successo fu quello di Miller-Urey (4), ancora oggi non sappiamo in che modo possono essersi formati gli acidi nucleici (RNA, DNA) e i lipidi, ossia quei composti chimici considerati determinanti per i processi ereditari e per la costituzione dei confini cellulari, perché permangono quattro ostacoli (o paradossi) da superare.

Specifiche

  • Pagine: 320
  • Anno Pubblicazione: 2021
  • Formato: 15,5x23,5
  • Isbn: 88-6086-190-0
  • Prezzo copertina: 29,00

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